lunedì 13 febbraio 2012

MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO SCRITTE DALL' ABATE BARRUEL TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO I. 1802 (Parte 7°) CAPITOLO V.SECONDO MEZZO DEI CONGIURATI. L'ESTINZIONE DEI GESUITI.

D'Alembert e Voltaire con la loro ipocrisia aveva trionfato di tutti gli ostacoli; costoro avevano saputo presentare i nemici dell'Enciclopedia come tanti barbari e fanatici avversari di tutte le scienze ed avevano trovato dei potenti protettori nei ministri d'Argenson, Choiseul e Malesherbes, cosicché tutte le obiezioni del gran Delfino, del clero e degli scrittori religiosi non poterono impedire che questo deposito di ogni empietà fosse considerato come un'opera ormai necessaria. L'Enciclopedia era diventata il fondamento di tutte le biblioteche pubbliche e private, sia in Francia come pure all'estero; ovunque era questo il libro da consultare su ogni tipo di argomenti, il libro in cui ogni anima semplice, col pretesto d'istruirsi, poteva inghiottire il veleno dell'incredulità senza rendersene conto, ed infine il libro in cui ogni sofista ed ogni empio avrebbe potuto trovare delle armi contro la religione. I congiurati erano contenti di questo primo mezzo, ma non potevano nascondersi che esistevano degli uomini che per il loro zelo,la loro scienza e la loro autorità potevano ancora far abortire la congiura. La Chiesa aveva i suoi difensori nel corpo dei vescovi ed in tutto il clero del second'ordine, ed in più un gran numero di istituti religiosi che il clero secolare poteva considerare come truppe ausiliarie sempre pronte a combattere per la causa del cristianesimo.
Prima di esporre come fecero i congiurati a togliere alla Chiesa i suoi difensori, devo prima evidenziare un progetto elaborato da Federico per rovinarla, dal quale nascerà la decisione di cominciare con la distruzione dei Gesuiti per poi giungere a distruggere gli altri ordini
religiosi, i vescovi e tutto il sacerdozio.
Nell'anno 1743 Voltaire era stato incaricato di un negoziato segreto presso il re di Prussia; fra le lettere che scrisse allora da Berlino ve ne è una diretta al ministro Amelot, redatta in questi termini: “Nell'ultimo incontro che ebbi con sua maestà prussiana, gli parlai di uno scritto pubblicato sei settimane addietro in Olanda, in cui si propongono dei mezzi per pacificare l'Impero secolarizzando alcuni principati ecclesiastici in favore dell'Imperatore e della regina d’Ungheria. Gli dissi che mi starebbe molto a cuore che questo progetto riuscisse, che sarebbe rendere a Cesare ciò che appartiene a Cesare, che la Chiesa dovrebbe solo pregare Dio ed i prìncipi, che i benedettini non erano stati istituiti per essere sovrani, e che questa opinione, che avevo sempre avuto, mi aveva procurato molti nemici nel clero. Il re mi confessò che aveva fatto stampare lui stesso il progetto, e mi fece capire che non gli dispiacerebbe di essere anche lui compreso in queste restituzioni di cui, disse, gli ecclesiasti erano in coscienza debitori ai sovrani, e che egli avrebbe abbellito volentieri Berlino con i beni della Chiesa; è certo che vuole pervenire a questo scopo ed assicurare la pace solo quando vedrà tali vantaggi. Spetta alla vostra prudenza di approfittare di questo disegno segreto confidato a me solo.” (Corrisp. gener. Lett. 8 ott. 1743.)
Quando fu scritta questa lettera, la corte di Luigi XV era piena di ministri che riguardo alla religione la pensavano come Voltaire e Federico. In Francia non vi erano elettori ecclesiastici da spogliare, ma vi erano un gran numero di religiosi i cui beni riuniti potevano procurare somme considerevoli; questi ministri compresero che se il piano di Federico non poteva ancora essere eseguito, tuttavia non era impossibile trarne col tempo un certo vantaggio per la Francia. Il marchese d'Argenson, consigliere di stato e ministro degli esteri, era uno dei più grandi protettori di Voltaire, fu il primo a condividere i suoi progetti per spogliare la Chiesa ed a sviluppare il piano da seguire per la distruzione dei religiosi.
René-Louis de Voyer marchese d'Argenson (1694-
1757) fu consigliere al parlamento, consigliere di
stato e infine ministro degli esteri. I suoi piani per
modificare il sistema amministrativo delle provincie
minarono l’autorità della monarchia.


La progressione di questo piano doveva essere lenta, successiva e circospetta per non alterare gli animi; all'inizio si dovevano distruggere e secolarizzare solo gli ordini meno numerosi, a poco a
poco si doveva rendere più difficile l'ingresso di nuovi religiosi, permettendo la professione religiosa solo a quell'età in cui di solito si è già deciso per un altro genere di vita. Inizialmente i beni dei conventi soppressi dovevano essere impiegati in opere pie oppure riuniti ai vescovadi, ma sarebbe giunto il tempo in cui, soppressi tutti gli ordini religiosi, si sarebbero fatti valere i diritti del re come supremo sovrano e si sarebbe messo in suo dominio tutto ciò che i religiosi avevano posseduto, perfino tutto ciò che nell'attesa era stato dato ai vescovadi.
In Francia i ministri cambiano spesso, diceva un legato dotato di spirito d'osservazione, ma i progetti, una volta adottati dalla corte francese, restano e si perpetuano sino al momento propizio per la loro esecuzione. Il progetto di d'Argenson era stato stilato prima del 1745, e quarant'anni dopo era ancora sul tavolino del primo ministro Maurepas; questo lo so da un religioso benedettino di nome de Bevis, distinto letterato, stimato ed adulato da Maurepas al punto da proporgli di abbandonare il suo ordine perché voleva procurargli qualche beneficio secolare. Il benedettino respingeva tutte queste offerte; per indurlo ad accettarle il ministro gli disse che presto o tardi
avrebbe dovuto decidersi, e per convincerlo gli fece leggere il piano del signor d'Argenson, che era seguito da tempo e che in breve sarebbe giunto a compimento.
La prova che non era stata solo l'avarizia a dettare questo progetto è data dal fatto che venivano distrutti non solamente gli ordini che possedevano delle rendite, ma anche quelli che non possedevano nulla e che una volta distrutti non lasciavano nulla da rubare.
Anticipare l'esecuzione di un tale progetto oppure svelarlo prima che i sofisti dell'Enciclopedia avessero preparato gli animi perché potesse essere accettato significava esporsi ad ostacoli troppo grandi; fu dunque tenuto nascosto per vari anni negli uffici di Versailles, mentre nell'attesa i ministri volterriani favorivano di nascosto i progressi dell'incredulità: da una parte sembrava che perseguitassero i filosofi, e dall'altra li incoraggiavano. Non permettevano a Voltaire di
rientrare a Parigi, ma egli stesso era sbalordito per aver ricevuto un rescritto del re che ristabiliva la sua pensione soppressa da dodici anni. (Lett. a Damil. 9 gen. 1762.) Certi primi commissari e certi ministri gli prestavano il loro nome ed il loro sigillo per la sua corrispondenza con tutti gli empi di Parigi e per i complotti antireligiosi di cui conoscevano i segreti. (Lett. a Marmontel. 13
agosto 1760.) Questa parte della cospirazione anticristiana è descritta da Condorcet in questo modo: “Spesso un governo ricompensava con una mano i filosofi e pagava con l'altra i loro calunniatori; li
proscriveva, ma si riteneva onorato che la sorte li avesse fatti nascere in quel regno; li puniva per le loro opinioni, e si sarebbe ritenuto umiliato dal sospetto che non li condividesse.” (Abbozzo di un quadro stor. di Condorcet, 9 epoca.)
Questo perfido accordo dei ministri del re cristianissimo con i congiurati anticristiani accelerava i progressi della setta, finché il più empio ed il più despota di questi ministri ritenne che fosse giunto il momento in cui poteva menare il colpo decisivo per la distruzione degli ordini religiosi; si tratta del duca di Choiseul, che di tutti i protettori dell'empietà fu, nel periodo del suo massimo potere, colui sul quale Voltaire maggiormente contava. Voltaire così ne scriveva ad d'Alembert: “Non temete che il duca di Choiseul vi ostacoli, ve lo ripeto e non v'inganno, l'assecondarvi sarà un merito per lui.” ( Lett. 68 anno 1760. ) “Siamo stati allarmati da un certo terror panico,
diceva ancora a Marmontel, ma mai vi fu timore più infondato; il duca di Choiseul e la signora de
Pompadour conoscono il modo di pensare dello zio e della nipote; ci si può inviare tutto senza rischio.”
Tale era la sua fiducia nella protezione che questo duca accordava ai sofisti contro la Sorbona e la Chiesa, che esclamava nel suo ardore: Viva il ministero di Francia, viva soprattutto il signor duca di Choiseul. ( Lett. a Marmontel 13 agosto 1760, 2 dic. 1767.)

Il brano di Condorcet citato dall'abbé
Barruel che dimostra la responsabilità dei
ministri del re di Francia, tratto da: Jean-
Antoine-Nicolas de Caritat, marquis de
Condorcet, Esquisse d'un tableau historique des
progrès de l'esprit humain, Paris, 1794.


La fiducia del capo dei congiurati non poteva esser meglio riposta; Choiseul aveva ripreso il progetto del conte d'Argenson, i ministri ritennero di vedervi una fonte di ricchezza per lo stato, molti però erano ancora lontani dal voler distruggere i frati per poter distruggere la religione, anzi neppure credevano che si potesse fare a meno dei frati. Inizialmente eccettuarono dalla proscrizione i Gesuiti, ma Choiseul voleva iniziare proprio da loro, e la sua intenzione era nota anche a causa di un aneddoto che circolava fra i Gesuiti; io stesso li ho sentiti raccontare fra loro che un giorno Choiseul conversava con tre ambasciatori, uno dei quali gli disse che, se mai ne avesse avuto il
potere, avrebbe distrutto tutti gli ordini religiosi eccetto i Gesuiti, che almeno erano utili per l'educazione. “Ed io, rispose Choiseul, se ne avessi il potere, distruggerei solo i Gesuiti, perché una volta distrutta l'educazione che impartiscono, tutti gli altri ordini religiosi cadrebbero da sé.” Questa politica era profonda, perché non c'è dubbio che distruggere in Francia un ordine a cui era affidata la maggior parte dei collegi equivaleva a prosciugare la sorgente di quell'educazione cristiana che
forniva ai diversi ordini il maggior numero di religiosi. Malgrado l'opposizione, Choiseul non disperò di portare il consiglio dalla sua parte.
Étienne-François duca di Choiseul (1719-
1785), feroce persecutore degli Ordini religiosi.
Ministro degli esteri dal 1758 al 1770. Soppresse
l'Ordine dei Gesuiti in Francia (1764) e lasciò che
si riprendesse la stampa dell'Enciclopedia.

I Gesuiti furono interpellati ma, anziché essere disposti ad assecondare la distruzione degli altri ordini religiosi, erano pronti al contrario a sostenere i diritti della Chiesa ed a mantenerli con tutta
l'influenza che avevano sull'opinione pubblica, e lo fecero sia a voce che con i loro scritti; allora Choiseul poté agevolmente dimostrare al consiglio che, se si voleva procurare allo stato le risorse derivanti dalle proprietà dei religiosi, bisognava cominciare proprio dai Gesuiti.
Ho ripetuto questo aneddoto come l'ho sentito dai Gesuiti, ritenendo che alla luce di quello che poi di fatto è accaduto fosse verosimile abbastanza da non essere del tutto trascurato dal punto di
vista storico. Del resto il mio scopo non è di esaminare se questi religiosi meritavano o meno la sorte che hanno avuto, ma unicamente di mostrare la mano che si nascondeva e di smascherare le persone che, secondo l'espressione di d'Alembert, avevano dato gli ordini per la distruzione della Compagnia di Gesù. È vero che questa distruzione fu ideata, sollecitata, meditata dai congiurati, e considerata da loro uno dei mezzi principali per giungere all'annientamento del cristianesimo?
Questo è ciò che lo storico deve cercare di constatare relativamente a questa cospirazione anticristiana; per far ciò bisogna sapere quale fosse il compito assegnato ai Gesuiti, e quanto l'idea che allora si aveva di loro tendesse in linea di massima a renderli invisi ai congiurati. Bisogna soprattutto sentire gli stessi congiurati sulla parte che ebbero nella distruzione di quest'ordine e l'interesse che ne avevano.
I Gesuiti costituivano un ordine di ventimila religiosi sparsi in tutti i paesi cattolici i quali si occupavano particolarmente dell'educazione della gioventù; si dedicavano anche alla direzione delle coscienze ed alla predicazione, e s'impegnavano con un voto speciale a fare i missionari ovunque i Papi li avessero inviati a predicare il Vangelo.
Formati con cura allo studio delle lettere, avevano fornito un gran numero di autori e soprattutto di teologi impegnati a combattere i vari errori che erano stati suscitati contro la Chiesa. In quei tempi, ed in Francia soprattutto, i loro nemici erano i giansenisti ed i sedicenti filosofi; il loro zelo per la Chiesa cattolica era così noto e così attivo che il re di Prussia li chiamava le guardie del corpo del Papa. (Lett. n. 154 del re di Prussia a Volt. 1767.)
L'assemblea del clero, composta da cinquanta prelati, cardinali, arcivescovi e vescovi francesi, consultata da Luigi XV quando si trattò di distruggere questa società, rispose espressamente: “I Gesuiti sono utilissimi alle nostre diocesi per la predicazione, per la direzione delle anime, per stabilire, conservare e far rifiorire la fede e la pietà con le missioni, le congregazioni e i ritiri da noi approvati e sotto la nostra autorità. Per tali ragioni pensiamo, sire, che interdire loro l'istruzione
porterebbe grave pregiudizio alle nostre diocesi, e che per quanto riguarda l'istruzione della gioventù sarebbe difficilissimo rimpiazzarli
con la stessa utilità, soprattutto nelle città di provincia dove non vi sono università.” (Parere dei vescovi, anno 1761.)
Ecco l'idea che in generale avevano i cattolici di questi religiosi, e la storia non deve nascondere ma far capire che la loro distruzione sarebbe dovuta entrare naturalmente nel piano dei congiurati anticristiani. L'annientamento dei Gesuiti fu talora attribuito al giansenismo, e certo non si può negare che i giansenisti si mostrarono assai desiderosi di ottenerlo, ma il duca di Choiseul e la famosa cortigiana marchesa de Pompadour, che allora regnavano in Francia all'ombra di Luigi XV, non amavano i giansenisti più dei gesuiti. Il duca e la marchesa erano al corrente di tutti i segreti dei congiurati sofisti, anche solo per il fatto che conoscevano quelli di Voltaire, (lett. di Volt. a Marmontel, 13 agosto 1760.) e Voltaire, come dice lui stesso, avrebbe voluto che si mandasse ciascun Gesuita nel fondo del mare con un giansenista al collo. (Lett. a Chabanon.)
I giansenisti non furono dunque altro che una muta di cani aizzati da Choiseul, dalla Pompadour e dai filosofi contro i Gesuiti. Ma Choiseul e la Pompadour che interesse ne avevano e qual'era la mano che li guidava? Il ministro era prima di tutto un uomo dalla condotta chiaramente empia, mentre la cortigiana voleva vendicarsi del Gesuita de Sacy che rifiutava di amministrarle i sacramenti se non avesse abbandonato la corte e non avesse riparato lo scandalo della sua vita
pubblica con Luigi XV; l'uno e l'altra, secondo le lettere di Voltaire, erano sempre stati i grandi protettori dei nuovi sofisti, e specialmente il ministro favoriva sottobanco tutti i loro segreti per quanto gli era consentito dalle circostanze politiche. (V. Lett. di Volt. a Marmontel 13 agosto 1760.) Ecco qual'era, relativamente ai Gesuiti, il segreto dei congiurati: ora basta ascoltarli l'uno dopo l'altro per svelarne la profondità. Ascoltiamo da principio ciò che d'Alembert scriveva a
Voltaire già presentendo la sua vittoria sui Gesuiti ed i grandi vantaggi che la congiura avrebbe tratto dalla loro caduta. “Distruggete l'infame, voi mi ripetete [cioè distruggete la religione
cristiana]; eh, Dio mio, lasciatela crollare da se stessa! Questo momento è più vicino di quanto pensiate. Sapete voi cosa dice Astruc? Non sono i giansenisti che uccidono i Gesuiti; è l'Enciclopedia, perdioa, è l'Enciclopedia. Potrebbe pure uscirne qualcosa, e quel gaglioffo di Astruc è come Pasquino, talvolta parla con molto buon senso. Quanto a me, che in questo momento vedo tutto color di rosa, vedo da qui i giansenisti morire della loro bella morte l'anno venturo, dopo aver fatto perire i Gesuiti di morte violenta quest'anno, vedo stabilirsi la tolleranza, richiamati i protestanti, i preti ammogliati, la confessione abolita e il fanatismo (cioè l'infame) distrutto senza che nessuno se ne accorga.” (Lettera 100.) Ecco il ruolo dei congiurati nella morte dei Gesuiti, espresso nel loro linguaggio, ecco la vera causa e le speranze che nutrivano; furono i congiurati che ispirarono l'odio per la Compagnia di Gesù e che ne pronunziarono la sentenza di morte; i Giansenisti, dopo aver servito così bene i congiurati, sarebbero dovuti morire anche loro; i calvinisti sarebbero tornati e sarebbero periti a suo tempo; tutto quello che i sofisti chiamano fanatismo, e cioè ogni religione cristiana, sarebbe stata distrutta, e sarebbero rimasti soltanto i congiurati ed i loro seguaci.

Il brano citato dalla lett. n. 100 di
d'Alembert a Volt. 4 maggio 1762
(Oeuvres completes de Voltaire, tomo 68,
Kehl 1785)

D'Alembert riteneva che nei parlamenti vi fossero solo magistrati dalla vista corta i quali, favorendo la distruzione dei Gesuiti, assecondavano senza saperlo le intenzioni dei filosofi; e questo è il senso di queste sue parole a Voltaire: “I Gesuiti non hanno più i beffeggiatori dalla loro parte da quando sono in urto con la filosofia; ora sono alle prese con quelli del parlamento, i quali pensano che la
Compagnia di Gesù sia contraria alla società umana, e dal canto suo la Compagnia ritiene che l'ordine del parlamento non sia un ordine sensato; e la filosofia potrebbe giurare che la Compagnia di Gesù ed il parlamento abbiano entrambi ragione.” (Lett. 88 anno 1761.)
Sempre in questo senso scriveva a Voltaire: “L'evacuazione del collegio di Luigi il Grande (collegio dei Gesuiti a Parigi) ci occupa molto più di quella della Martinica. In fede mia, questa è una cosa assai seria, e le classi del parlamento non vogliono altre mani morte: costoro credono di servire la religione, ma servono la ragione senza avvedersene. Sono tanti esecutori di alta giustizia a vantaggio della filosofia, da cui ricevono gli ordini senza saperlo.” (Lett. 100.)
Sempre pieno della sua idea, nel momento in cui vede gli ordini dell'Enciclopedia prossimi ad eseguirsi, egli parla con franchezza della causa delle sue vendette, e giunge sino a rivolgersi a Dio a cui non crede per timore che la preda gli sfugga di mano. Scrive ancora: “La filosofia forse è giunta al momento in cui sarà vendicata nei confronti dei Gesuiti. Ma chi la vendicherà nei confronti degli altri fanatici? Preghiamo Dio, mio caro confratello, che la ragione ottenga, noi viventi, questo trionfo. (Lett. 90 1761.)
Giunge il giorno di questo trionfo, e d'Alembert lo annunzia come lo scopo tanto desiderato: “Finalmente, esclama, il sei del mese prossimo saremo liberati dalla canaglia gesuitica. Ma andrà meglio per la ragione e peggio per l'infame?” (Lett. 102.)
Così l'abolizione della religione cristiana, sempre indicata nel linguaggio dei congiurati con l'orribile formula e col nome d'infame, si trova sempre unita ai loro auspici ed alla loro contentezza riguardo alla distruzione dei Gesuiti. D'Alembert era talmente persuaso dell'importanza del suo trionfo su questa società che, temendo un giorno ciò che gli era stato detto a proposito della presunta riconoscenza di Voltaire per i suoi primi maestri, si affrettò a scrivergli: “Sapete ciò che mi hanno detto ieri? Che i Gesuiti cominciavano a farvi pietà e che sareste quasi tentato di scrivere in loro favore se fosse possibile rendere interessante della gente che avete resa così ridicola. Credetemi, nessuna debolezza umana; lasciate che la canaglia giansenistica ci liberi dalla canaglia gesuitica, e non impedite che questi ragni si divorino a vicenda.” (Lett. 25 sett. 1762.)
Niente era meno fondato di questo timore sulla debolezza di Voltaire, che certo non componeva segretamente le requisitorie degli avvocati generali del parlamento come d'Alembert, che era stato
accusato di aver fatto quella del signor de la Chalotais, il più astuto e virulento avversario dei Gesuiti, ma lavorava lo stesso in modo efficace alla distruzione della Compagnia componendo e facendo circolare delle memorie contro di loro. ( Lett. al march. d'Argens de Dirac 26 feb. 1762. )
Se sapeva che avevano dei protettori fra i grandi, Voltaire impiegava tutto il proprio zelo a rivoltarli contro di loro, ed è per questo che aveva scritto al duca di Richelieu: “Mi si dice, monsignore, che abbiate favorito i Gesuiti a Bordeaux; procurate di togliere loro ogni credito.” (Lett. 27 nov. 1761.) E per lo stesso motivo non si vergognava di rimproverare al re di Prussia di aver offerto un asilo a queste disgraziate vittime della congiura. (Lett. 8 nov. 1773.) Del tutto avverso a loro, come d'Alembert, sottolineava allo stesso modo con le ingiurie più triviali tutta la sua gioia quando apprendeva i loro disastri; e si può notare nelle sue lettere con che tipo di adepti condividesse
questa stessa gioia, ad esempio quando scrive al marchese di Villevielle: “Mi rallegro col mio bravo cavaliere dell'espulsione dei Gesuiti. Il Giappone ha cominciato a scacciare questi furfanti di
Loyola, i cinesi hanno imitato il Giappone, la Francia e la Spagna imitano i cinesi. Possano essere sterminati tutti i frati, che non sono meglio dei furfanti di Loyola. Se si lasciava fare alla Sorbona, ora essa sarebbe peggiore dei Gesuiti. Siamo attorniati da mostri. Si abbraccia il nostro degno cavaliere e lo si esorta a celare la sua marcia ai nemici.” (Lett. 27 aprile 1767.)
Quali esempi ci porta il filosofo di Ferney! Quello del Giappone, cioè del suo feroce Taikosama, il quale scacciò o crocifisse i Gesuiti missionari versando il sangue di migliaia di martiri per estinguere il cristianesimo nel suo impero! ( V. Storia del Giappone di Charlevoix ) Quello della Cina, senza dubbio assai più più moderata, ma dove ogni persecuzione contro i medesimi missionari fu sempre seguita o preceduta dalla proibizione di predicare il Vangelo! L'uomo che si
fonda su simili autorità non ha evidentemente fatto lo stesso voto? Si noti che Voltaire non osa citare l'esempio del Portogallo, cioè del tiranno Carvalho.* La vera ragione di questo silenzio è che
Voltaire, con tutto il resto dell'Europa, si vedeva forzato a convenireSi deve anche osservare che i sofisti congiurati, ed in particolar modo Damilaville, avevano fatto il possibile per imputare ai Gesuiti l'assassinio di Luigi XV, e Voltaire aveva risposto: “Fratelli miei, dovete rendervi conto che io non ho risparmiato i Gesuiti, ma solleverei la posterità in loro favore se li accusassi di un delitto di cui l'Europa e Damien li hanno giustificati. Non sarei che una vile eco dei giansenisti se parlassi altrimenti.” (Lett. a Damilav. 2 marzo 1763.) che la condotta di quel ministro, in rapporto al caso Malagrida e alla pretesa cospirazione dei Gesuiti in Portogallo, era l'eccesso del ridicolo unito all'eccesso dell'orrore. (Secolo di Luigi XV, cap. 33.)
Si deve anche osservare che i sofisti congiurati, ed in particolar modo Damilaville, avevano fatto il possibile per imputare ai Gesuiti l'assassinio di Luigi XV, e Voltaire aveva risposto: “Fratelli miei,
dovete rendervi conto che io non ho risparmiato i Gesuiti, ma solleverei la posterità in loro favore se li accusassi di un delitto di cui l'Europa e Damien li hanno giustificati. Non sarei che una vile eco dei giansenisti se parlassi altrimenti.” (Lett. a Damilav. 2 marzo 1763.)

Sebastião José de Carvalho y Mello marchese di
Pombal, uomo politico portoghese (1699-1782). Nel 1750
divenne ministro degli affari esteri, poi primo ministro del
re Giuseppe II di Braganza. Nel 1770 fu creato marchese di
Pombal. Scettico, incredulo, amico dei filosofi, diede inizio
alla persecuzione dei Gesuiti in Europa.


Malgrado lo scarso accordo nelle accuse fatte ai Gesuiti, d'Alembert, assicuratosi che Voltaire non era per nulla meno costante di lui in questa guerra, gli inviò la sua pretesa storia di questi religiosi; ma bisogna udire lui stesso per rendersi conto dell'abile ipocrisia con la quale si era sforzato di dirigere quest'opera verso il grande scopo della cospirazione: “Raccomando questo libro alla
vostra protezione, scrive a Voltaire, credo che potrà essere utile alla causa comune e che la superstizione, nonostante tutte le riverenze che fingo di tributarle, non starà certo meglio. Se, come voi, fossi abbastanza lontano da Parigi per darle delle sonore bastonate, sicuramente lo farei con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le mie forze, così come si pretende che si debba amare Dio. Ma io sono in grado di darle solo degli scappellotti, chiedendole perdono della libertà; e mi sembra di non essermi mal disimpegnato.” (Lett. 3 genn. 1765.)
Non è soltanto la bassezza delle espressioni ad essere rivoltante in questa confidenza, ma molto più la profondità dell'ipocrisia e della simulazione che i nostri sedicenti filosofi confessano gli uni agli altri; e d'altronde difficilmente la storia troverà esempi più odiosi, confessioni più rivoltanti, trucchi più perfidi ed astuzie più vili di quelle dei nostri congiurati.
Federico in questa guerra anti-gesuitica si comportò in un modo che può essere descritto da lui solo; per lui i Gesuiti erano le guardie del corpo della corte di Roma, i granatieri della religione, ed in quanto tali li detestava, era felice della loro distruzione e si unì al trionfo dei congiurati contro di loro, ma considerava anche la Compagnia di Gesù un ordine estremamente utile e necessario ai suoi stati. Difatti egli la conservò in quanto tale ancora alcuni anni, resistendo alle sollecitazioni di Voltaire e di tutto il filosofismo. Si sarebbe detto che perfino amasse e stimasse i Gesuiti quando rispondeva a Voltaire in questi termini: “Quanto a me, avrei torto se mi lamentassi di
Ganganelli, che mi lascia i miei cari Gesuiti perseguitati da ogni parte. Ne conserverò la preziosa semente per darne a coloro che volessero coltivare presso di sé questa pianta così rara.” (Lett. 7 luglio 1770.)
Federico si degnò anche di fornire a Voltaire maggiori dettagli, quasi volesse giustificarsi della resistenza che opponeva ai desideri ed alle sollecitazioni dei congiurati. “O bene o male ho conservato quest'ordine, rispondeva, per quanto io sia un eretico ed anche incredulo. Eccone le ragioni: “Non vi è nei nostri paesi alcun cattolico letterato se non tra i Gesuiti. Non abbiamo nessuno capace di sostenere le classi. Non abbiamo né padri dell'oratorio, né delle scuole pie, era quindi necessario conservare i Gesuiti, altrimenti bisognava lasciar perire tutte le scuole. Conveniva che l'ordine sussistesse per fornire dei professori mano a mano che ne venivano a mancare, e la fondazione poteva contribuire a queste spese, ma non sarebbe stata sufficiente per pagare dei professori laici. Per di più era all'università dei Gesuiti che si formavano i teologi destinati a coprire le parrocchie. Se l'ordine fosse stato soppresso, l'università non sussisterebbe più, e saremmo
obbligati a mandare gli Slesiani a studiare teologia in Boemia, il che sarebbe contrario ai principi fondamentali del governo.” (Lett. 18 nov. 1777. )
Così si esprimeva Federico quando parlava da re e quando riteneva di dover esporre le ragioni politiche della sua condotta; da questo brano si può notare inoltre che egli aveva afferrato bene le ragioni che potevano farlo desistere, almeno su questo punto, dallo scopo dei congiurati. Ma ho già accennato altrove che vi erano due uomini in Federico: il re che si credeva obbligato a conservare i Gesuiti ed il sofista empio che cospirava con Voltaire e che si felicitava della sconfitta patita dalla religione con la perdita Gesuiti; il Federico empio si spiegava più liberamente con i congiurati, rallegrandosi quanto d'Alembert dell'abolizione dei Gesuiti che riteneva un sicuro presagio,
secondo lui, dell'abolizione di tutto il cristianesimo. Allora scriveva in tono sarcastico: “Che secolo infelice per la corte di Roma! Viene attaccata apertamente in Polonia, le sue guardie del corpo sono
scacciate dalla Francia e dal Portogallo, e pare che lo stesso accadrà in Spagna, i filosofi distruggono scopertamente le fondamenta del trono apostolico, si va fischiettando il grimorioa del mago, l'autore della setta è infangato, si predica la tolleranza: tutto è perduto, ed è necessario un miracolo per salvar la Chiesa, che è assalita da un colpo apoplettico terribile; e voi, (Voltaire) voi avrete la consolazione di seppellirla e di fare il suo epitaffio, come avete già fatto per la Sorbona” ( Lett. 154 an. 1767.)
Quando poi avvenne in Spagna quello che Federico prevedeva, non potendo contenere la sua allegria scrisse a Voltaire: “Ecco un nuovo vantaggio che abbiamo di recente ottenuto in Spagna: i Gesuiti sono scacciati dal regno; per di più, le corti di Versailles, di Vienna e di Madrid hanno chiesto al Papa la soppressione di un gran numero di conventi. Si dice che il Santo Padre sarà obbligato ad acconsentire, benché furente. Crudele rivoluzione! Che aspettative per il prossimo
secolo! La scure è posta alla radice dell'albero; da una parte i filosofi si oppongono agli abusi di una venerata superstizione, dall'altra gli abusi della dissipazione forzano i prìncipi ad impossessarsi dei beni dei monaci, che sono i suppositi e le trombe del fanatismo. Questo edificio minato alle fondamenta è vicino a crollare, e le nazioni trascriveranno nei propri annali che Voltaire fu il promotore di questa rivoluzione dello spirito umano fatta poi nel secolo decimonono. (Lett. 5 maggio 1767. )
Federico, che dunque era sofista ma anche re, fu per lungo tempo combattuto tra le due differenti opinioni, tuttavia ancora non aveva ceduto alle pressioni che gli facevano i congiurati, soprattutto a quelle,vive e frequenti, di d'Alembert; per meglio valutare l'importanza che quest'ultimo attribuiva alla questione, si legga il brano seguente: “Mio rispettabile patriarca, egli scrive a Voltaire, non mi accusate di non servire alla buona causa; forse nessuno la serve meglio di me. Sapete a che cosa sto lavorando attualmente? A far scacciare dalla Slesia la canaglia gesuitica, di cui il vostro vecchio discepolo ha una gran voglia di liberarsi, visti i tradimenti e le perfidie che lui stesso mi ha detto di aver provate nell'ultima guerra. In tutte le lettere che scrivo a Berlino non faccio altro che
ripetere quanto i filosofi francesi siano stupiti dal fatto che il re dei filosofi, il protettore dichiarato della filosofia, tardi tanto ad imitare i re di Francia e Portogallo.
Queste lettere sono lette al re, che come voi sapete è sensibilissimo a ciò che pensano di lui i veri credenti, e questo seme produrrà senza dubbio un buon effetto con la grazia di Dio che, come dice la Scrittura, gira i cuori dei re come un rubinetto.” (Lett. di d'Alembert a Voltaire del 29 dic. 1763.)

Il brano citato nel testo della lettera 5
maggio 1767 di Federico II a Voltaire
(Oeuvres completes de Voltaire, tome 65,
Kehl 1784).

Mi costa molto trascrivere queste banali buffonerie che accompagnano le nefande trame di
d'Alembert e le sue persecuzioni occulte a sangue freddo contro una società il cui unico delitto nei suoi confronti era di non pensare come lui in fatto di religione. Risparmio ai miei lettori molte altre
espressioni di questa specie, ed anche più indecenti, ma è necessario che ci si renda conto almeno qualche volta di quanto questi cosiddetti grandi uomini una volta messi a nudo siano piccoli, vili e spregevoli pur con tutto il loro orgoglio, mostrandosi così quali sono in realtà.
Del resto tutte queste pressioni su Federico produssero il loro effetto molto più tardi di quanto d'Alembert avesse voluto; quindici anni più tardi Federico conservava ancora nello stato prussiano i suoi cari Gesuiti. Questa sua espressione, ed il suo silenzio assoluto sui tradimenti di questi religiosi quando si lasciò vincere da tali intrighi, provano a sufficienza che d'Alembert ci metteva poco sia a fondare le sue affermazioni su calunnie e su presunte testimonianze di altri, sia a
calunniare lui stesso; e ciò perché Federico II, come lo stesso sofista dice altrove, non era una persona che tenesse chiuse nel suo cuore di re le ragioni delle lamentele che avesse avuto contro di loro, ( Lett. 24 luglio 1767. ) come invece aveva fatto il re di Spagna,a la cui condotta
riguardo a questa stessa questione sembrava così biasimevole ai medesimi congiurati. ( Lett. di d'Alembert a Volt. 4 maggio 1767. )

Lorenzo de'Ricci (1703-1775), ultimo Superiore
Generale dei Gesuiti prima della soppressione.


Comunque sia, poiché ai congiurati non bastava aver ottenuto da Federico l'abolizione dei Gesuiti in Prussia, i loro club suscitarono tutta una propaganda tesa ad ottenere da Roma l'estinzione totale di questa Società; ciò si rileva dall'interesse di Voltaire per un'opera che avesse come unico
scopo la detta estinzione della Compagnia di Gesù, che purtroppo fu ottenuta. La Francia si accorse infine della piaga che aveva aperto nell'educazione pubblica e varie persone potenti, senza far vedere di voler tornare sui loro passi, si preoccuparono di rimediare a questo errore con una nuova società che  avesse come unico scopo l'educazione della gioventù e nella quale si sarebbero dovuti ammettere particolarmente gli ex Gesuiti, che erano i più preparati nell'ambito della pubblica istruzione. Alle prime notizie di questo progetto d'Alembert si allarmò ritenendo che i Gesuiti
fossero risuscitati, e così scrisse e riscrisse a Voltaire dandogli il tema da svolgere contro questo progetto; voleva che insistesse principalmente sul danno che ne sarebbe conseguito per lo stato, per
il re, per il duca d'Aiguillon che era ministro quando era stata portata a termine la distruzione dei Gesuiti. Ma non solo; bisognava insistere sull'inconveniente di porre la gioventù nelle mani di una comunità di preti qualunque, da presentarsi tutti come ultramontani per principio e anticittadini. Bertrand d'Alembert terminava dicendo nel suo linguaggio a Voltaire Ratona che questo marrone richiede un fuoco coperto e una zampa così destra come quella di Raton; e con ciò bacia assai teneramente le sue care zampette.” Voltaire, allarmato quanto d'Alembert, si accinse all'opera, domandò nuove istruzioni, meditò come si poteva fare in una simile questione, e la trovò troppo
seria per permettersi di ridicolizzare. D'Alembert tornò alla carica (v. soprattutto le loro lett. del 26 febbr., 5 e 22 marzo 1774.) e mentre Voltaire da Ferney scriveva contro il progetto, i congiurati intrigavano a Parigi ed a corte. Così i ministri furono riguadagnati all’idea iniziale ed il piano fu rigettato, la gioventù rimase ancora senza maestri e Voltaire poté ancora scrivere a d'Alembert: “Mio caro amico, non so cosa succederà, ma gustiamo sempre il piacere di aver veduto scacciati i Gesuiti.” (Lett. 27 aprile 1771.)
Clemente XIV (papa dal 1769 al 1774) soppresse la Compagnia di Gesù nel 1773 con il breve Dominus ac Redemptor. La chiusura dei collegi della Compagnia facilitò
il progredire dell’incredulità e del filosofismo, come dimostrò lo storico cattolico Jacques
Crétineau Joly. «Clemente XIV morì senza aver veduto la tranquillità stabilirsi nella Chiesa, senza averla potuta acquistare per se stesso.» (da Mons. Delassus , “Il problema dell'ora presente”
Tomo I).


Questo piacere venne di nuovo turbato da alcune false notizie, e d'Alembert se ne sgomentò: “Si assicura, dice a Voltaire, che la canaglia gesuitica sta per essere ristabilita nel Portogallo, ad eccezione dell'abito. Quella nuova reginaa mi sembra una maestà superstiziosa.
Se il re di Spagna viene a morire, non posso garantire che questo regno non imiti il Portogallo. La ragione è perduta se l'armata nemica vince questa battaglia.” (Lett. 23 giugno 1777.)
Per dimostrare quanto i congiurati avessero a cuore la distruzione dei Gesuiti, quanto la rovina della Compagnia di Gesù fosse per loro essenzialmente legata al progetto di distruggere la religione cristiana e quanto tutto ciò facesse parte dei loro complotti io avevo promesso di attenermi alle testimonianze ed agli archivi dei congiurati stessi.
Ometto molte lettere che avrebbero rafforzato la dimostrazione, perfino quella in cui, quindici anni dopo l'estinzione dei Gesuiti in Francia, Voltaire si vanta di fare in modo che siano scacciati dalla
Cina per mezzo della corte di Pietroburgo, perché quei Gesuiti che l'Imperatore della Cina ha avuto la bontà di conservare a Pechino sono più missionari che matematici. (Lett. dell'8 dic. 1776.)

Il Marchese di Pombal espelle i Gesuiti. A seguito di un fallito attentato contro il Re del Portogallo
di cui mai si conobbero i mandanti, Pombal condannò a morte il Reverendo Padre Gesuita Gabriele
Malagrida e la nobile famiglia dei Tavora. Nel 1759 mise al bando la Compagnia di Gesù, causando l’interruzione dei rapporti diplomatici con Roma; il pretesto fu la divisione con la Spagna delle Reducciònes gesuite nel Paraguay. Alla morte del re (1777) la regina
Maria I fece processare Pombal e riabilitò coloro che egli aveva accusato nel 1758. In questa occasione fece ritorno a Coimbra il Vescovo del luogo, che Pombal aveva precedentemente espulso.

Se i sofisti avessero avuto meno interesse all'estinzione di quest'ordine e se vi avessero dedicato minor attività. io avrei insistito meno su questo punto; credo di dover osservare al presente che questa guerra di estinzione dichiarata ai Gesuiti dal filosofismo derivava da un'idea falsa ed offensiva della religione. I sofisti congiurati erano persuasi che la Chiesa cristiana fosse opera umana, e la maggior parte di loro credeva che togliere alla stessa l'appoggio dei Gesuiti
significasse accelerarne la rovina e minarne le fondamenta condannandola a scomparire, ma la Chiesa esisteva già da ben quattordici secoli prima della fondazione dei Gesuiti, ed anche se
dopo la loro distruzione l'inferno poteva spalancare le sue porte, tuttavia è scritto che non prevarrà. In Francia il potere e gli intrighi dei ministri, di Choiseul e della Pompadour in combutta con Voltaire, in Spagna quelli di un d'Aranda, pubblicamente amico di d'Alembert e di tutti i nostri empi, in Portogallo quelli di Carvalho, il feroce persecutore della gente dabbene, ed altrove gli intrighi di tanti altri ministri soggiogati da relazioni più empie che politiche erano riusciti a minacciare il Papa con lo spettro di uno scisma dei regni; tali minacce strapparono a Ganganelli il decreto che estingueva la Compagnia di Gesù, preziosa per tanti altri Pontefici; tuttavia il Papa sapeva, come lo sanno tutti i cristiani, che il Vangelo non si basa sui Gesuiti ma su Dio, il quale giudica i Gesuiti, i sofisti, i ministri e perfino i Pontefici stessi.
Quest'ordine, composto da ventimila religiosi sparsi nel mondo cristiano e che era costituito da uomini che si applicavano all'educazione della gioventù, allo studio delle belle lettere e delle
scienze religiose, era senza dubbio di grande utilità alla Chiesa ed allo stato; ma gli stessi congiurati non ci misero gran tempo a rendersi conto che restavano alla religione degli altri sostegni, e che avevano fatto troppo onore ai Gesuiti facendo dipendere da loro l'esistenza della Chiesa, quasi ne fossero la pietra fondamentale; fu quindi necessario impiegare altri mezzi per distruggerla, e così i congiurati si dedicarono con rinnovato ardore alla distruzione assoluta di tutti gli altri ordini religiosi.




Medaglia commemorativa della soppressione dei Gesuiti. Sul dritto: Clemente XIV. Gravissimo
e assolutamente infamante contro un Ordine tanto risplendente di Santi e benemerito verso la
Chiesa quale quello dei Gesuiti, l’esergo inciso sul rovescio di questa medaglia pontificia, che
riprende la maledizione pronunziata da Gesù Cristo contro i reprobi nel giorno del Giudizio
Universale: “Voi, andate via tutti da me, non vi conosco” (Mat. 7, 23). E, in effetti, il Cristo è qui
effigiato, con San Pietro e la Santissima Vergine, nell’atto di scacciare alcuni reverendi padri della
gloriosa Compagnia del Gesù. L’Ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola era l’autentica colonna
portante della società tradizionale europea; ad esso era affidata l’educazione della migliore e più
nobile gioventù del continente e delle colonie; esso era il baluardo della polemica anti-illuministica:
la sua soppressione da parte di Papa Clemente XIV, complottata nelle logge e nelle corti inquinate
da spirito massonico, rese assai più agevole la distruzione di quelle stesse corti e della Cristianità da parte delle sette nemiche della religione e della Chiesa. Da quel colpo micidiale, infertole nel 1773, la Compagnia di Gesù non si risollevò più e, anche quando fu ristabilita, il 7 agosto 1814, per ordine del Papa Pio VII, non riuscì a tornare ai fasti precedenti la rivoluzione.