lunedì 6 febbraio 2012

L’Esercito Napoletano di Carlo di Borbone



Nella tumultuosa Europa del XVIII secolo la Spagna ricoprì un ruolo da protagonista espandendo la propria influenza nel Mediterraneo e assicurandosi territori specialmente in Italia.
Ma l’operazione più prestigiosa fu quella di riconoscere “l’Infante” Carlo figlio del re Filippo V di Borbone e di Elisabetta, ultima di casa Farnese, quale erede del Ducato di Parma nel 1731 - possedimento dei Farnese – e poi sette anni dopo sovrano del Regno di Napoli e Sicilia, riconoscimento quest’ultimo che ha dato a quella che fu per 134 anni la più grande nazione della penisola italiana e la terza potenza europea, una dinastia attenta alle esigenze dei suoi sudditi, oggi giustamente rivalutata nella sua luce dai moderni storici.
Carlo non risparmiò energie per raggiungere tali traguardi: durante la guerra di successione polacca assunse il comando delle truppe spagnole in Italia riuscendo ad occupare l’Italia meridionale, l’ex vicereame spagnolo che dal 1704 al 1734 era stato dominio austriaco, scacciandone gli Asburgo. Infatti nel 1738, quattro anni dopo la sua conquista, venne riconosciuto re di Napoli con il nome di Carlo VII dal trattato di Vienna. Durante la guerra di successione austriaca, fu di nuovo avversario degli Asburgo, conducendo con indomito valore una fortunata campagna militare in Italia Settentrionale e battendo definitivamente gli “Imperiali” nel 1744 a Velletri che avevano tentato di nuovo di invadere il Regno. L’esercito di Carlo ebbe qui il suo primo vero collaudo, come prova di fusione fra gli elementi autoctoni e quelli stranieri; la battaglia, in se stessa, segnò la prima grande vittoria dell’Esercito Borbonico, vi parteciparono reggimenti interamente Napoletani: il Reggimento “Corona” e il “Terra di Lavoro” comandati dal duca di Ariccia, che seppero magnificamente reggere il paragone con i reggimenti stranieri di più consolidata tradizione.
Carlo dotato di grandi capacità organizzative e dinamismo nel suo periodo “napoletano” che va dal 1734 al 1759, si dedicò anima e corpo al progresso dello Stato e delle Forze Armate con una forte spinta riformatrice, privilegiando l’inserimento degli Italiani, intesi come cittadini della penisola italica al di sopra dei vari Stati, nella gestione pubblica.
Quando morì il fratellastro Ferdinando re di Spagna, rientrò in Spagna per essere incoronato Re con il nome di Carlo III, lasciando al terzogenito Ferdinando i Regni di Napoli e di Sicilia, non senza aver organizzato l’esercito; già nel 1750 era stata quasi portata a temine l’evoluzione in senso “nazionale”, anche se lo stile delle divise e la lingua in cui erano impartiti i comandi militari era ancora lo spagnolo, come in spagnolo erano trascritti i “Libretti di Vita e Costumi” ossia i fogli matricolari di ogni militare, uso che verrà poi definitivamente abbandonato dal 1800.
 Le milizie erano in prevalenza “Italiane” ( napoletani o figli di nativi del Regno) e mercenarie (svizzeri, albanesi, inglesi), essendo la componente spagnola, che era venuta in Italia seguendo il Sovrano, rientrata in Patria, mentre gli ufficiali rimasero per istruire i reparti e garantirne la fedeltà e lealtà.
Sin dal 1735 vennero emanati provvedimenti tesi ad avviare la nazionalizzazione dell’Armata, poiché il suo obiettivo principale era quello di affrancarsi del tutto dalla Spagna sia in campo militare che civile, da formarsi così uno Stato Nazionale “Napoletano”, altri ve ne furono in seguito per potenziare le unità ed arruolare “regnicoli” in numero crescente. Vennero poi costituiti nel novembre del 1743 i “Reggimenti Provinciali” – in servizio per alcuni periodi di tempo – che dovevano essere delle “scuole militari” di disciplina e attaccamento a casa Borbone.
L’Esercito e la Marina divennero il risultato dell’intensa attività riformatrice voluta da Carlo, che va maggiormente apprezzata proprio per le condizioni sociali ed economiche in cui versavano le province del nuovo regno prima della conquista Borbonica. Non citerò tutti i reparti in organico perché sarebbe solo un lungo elenco di nomi di compagnie, reggimenti e battaglioni, ma parlerò delle uniformi, cosa molto più interessante e poco nota.
Le truppe erano dotate, su modello spagnolo, di una “giamberga” – giacca lunga – con una sola fila di bottoni, falde rialzate ed ampi risvolti alle maniche, un “giamberghino” – gilet, calzoni al ginocchio, cravatta, camicia, alte ghette o calze, tricorno nero, mentre la Cavalleria adottava alti stivali e gambiere. L’identificazione dei reparti avveniva tramite il colore della giamberga, dei risvolti dei paramani e dei calzoni, anche dal nastro posto sul tricorno.


Gli Ufficiali si distinguevano per la migliore fattura e pregio delle stoffe, ornamenti e dall’uso della “gorgiera” (dal francese gorge = gola) dorata con giglio d’argento – simile ad una mezzaluna metallica posta ad uso di collare. Per i corpi della Guardia Reale, di quelli addetti alla persona del Sovrano e del “Real Corpo Macedonia” (che comprendeva militari di origine slavo-albanese) le uniformi erano particolarmente ricche di ornamenti. La coccarda era scarlatta, colore simbolo di casa Borbone. Le “buffetterie” o equipaggiamento erano in cuoio naturale, l’armamento per gli ufficiali appiedati era costituito da spade e spuntoni – corta lancia; fucile con baionetta per i fanti, gli ufficiali di cavalleria dotati di spade e pistole con fondine in sella o dette “all’arcione”, i soldati di cavalleria di un corto fucile detto “moschettone” e spada.


Per quanto attiene alle bandiere si sa ben poco per carenza di fonti documentarie, cosa che si è ripetuta anche per quelle dell’ultimo periodo del Regno delle Due Sicilie, di certo ricalcavano i modelli spagnoli, ma con stemmi e ornamenti diversi. La fanteria adottava una grande bandiera la “Colonnella” – con le insegne reali di casa Borbone – e due “sensiglie” (nel verso le insegne del reparto e nel recto la Croce dell’Ordine Costantiniano);le “banderuole di allineamento” dette guide o “guide generali” che in effetti avevano la funzione di assestamento o serrafile, usate sui lati e sul centro di ogni battaglione dei corpi a piedi per guidare le manovre, allineare la truppa ed anche per indicare gli alloggiamenti, erano in numero di tre per ogni battaglione: a destra per i Granatieri, al centro per i Fucilieri e a sinistra per i Cacciatori.
Invito i lettori a fare una visita presso la “Società di Storia Patria” sita in Castel Nuovo (Maschio Angioino) in Napoli, dov’è conservata la fonte primaria per la conoscenza della realtà militare nel periodo di Carlo a Napoli: la collezione “Divisas Y Antiguedades” pubblicazione acquerellata del XVIII secolo.
Ciro La Rosa
febbraio 2008