lunedì 31 dicembre 2012

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio: Il Natale esautorato dal buon capo d'anno.

La Civiltà Cattolica anno V, serie II, vol. V, Roma 1854 pag. 51-64.
 

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.

IL NATALE ESAUTORATO DAL BUON CAPO D'ANNO

Siam buoni amici, lettor mio gentile; chè fra giornalista ed associato, benchè non abboccatisi mai di persona, passa una certa intimità di comunicazione la quale ben può meritare sotto certi aspetti il nome di amicizia.
Or fra gli amici la buona creanza comanda in questi giorni una visita, un augurio, un buon capo d'anno: e sì, ve lo auguriamo lietissimo; e non per cerimonia, ma con quella pienezza di affetto che sì strettamente congiunge gli animi cattolici, allora specialmente quando sono associati nel pianto della persecuzione, e nello zelo del superarla.
Ma ohimè! Perchè dobbiam noi solennizzare il capo dell'anno e dimenticare le feste natalizie; quelle feste che sorgean si liete alla fanciullesca espettazione dei nostri anni teneri?
Vi ricorda, lettore, l'antica usanza degli avi nostri nella soave espansione delle solennità di famiglia? La santa mestizia dell'Avvento erasi occupata del bambolo nel preparare la capannuccia del suo presepio; e congegnata alla meglio una prospettiva di lontananza, e fabricate con sugheri muffa e cartoncini le montagne di Betlemme, vi avea sopra disposto qua le greggi coi pastori, là il pecoraio a dimenare il burro, e sulle vette il cacciatore ormante la lepre, e nel vallone la lavandaia al fonte, e in lontananza i magi coi cammelli e fra le mura di Gerosolima Erode coi manigoldi, e allato alla capanna l'asino e 'l bue strameggianti: e compiuto così un ammasso informe di bugne e figurini, altiero del suo capo lavoro, come dei loro scenarii sarebbero stati il Gagliari o il Bibiena, correva attorno per la casa invitando e babbo e mamma e domestici e forestieri ad esserne spettatori contribuendo eziandio, se ne fosser cortesi, con qualche moccolo a illuminare la solennità del suo presepio. La sera era lietissima pel piattellino di dolci che il fanciullo mangiavasi divotamente ad onore del Santo Bambino. Al domane poi, compiuto appena il sacro rito delle tre Messe natalizie, tornava a casa il padre cattolico col suo bambolo per mano, che gli sgambettava a' fianchi non passibus aequis, e trattolo diviato alle stanze della madre gli faceva stampare su quella mano un bacio di riverenza figliale, e riceverne uno sulla fronte di tenerezza materna balbettando il suo complimento: Mammà, felicissime feste e mille benedizioni dal Santo Bambino. E ricreatolo sol pochi istanti colla colezione di qualche dolce per ceppo [= come dono, N.d.R.] e rivestitolo a festa, pettinatolo, azzimatolo e postogli il cappellino sulla testa, usciva con esso lui attorno per la città alle stazioni della parentela visitando di porta in porta nonni e bisnonni, zie e pro-zie. E il bamboletto era lietissimo di ripetere la sua formoletta vedendo che ogni augurio gli facea o saltare in bocca un confetto, ovvero piovere in mano un moccoletto, un pastore, una statuetta, un calice per adornare il suo presepio e l'altarino al ritorno, e cantarvi egli pur la Messa in pianeta, servita dalle sorelline in piviale o in cotta.
Nè quelli eran solo complimenti da bambolo. Anche gli adulti credeano conforme ai sentimenti di cortesia e di umanità il rannodare alcune volte fra l'anno quelle relazioni amichevoli che con assiduità non poteano continuamente coltivarsi. «Tu sei fanciullo, mi diceva allora mio padre, devi studiare non puoi frequentare la società: non è egli conveniente, che un qualche giorno fra l'anno torni a riconoscere i tuoi più cari, a riprotestar gratitudine cui più la devi, a riverire chi ti sovrasta per età, per assennatezza, per dritti? E quando anche sarai nel mondo, non sarà egli vantaggioso il rannodar così relazioni amichevoli, riveder clientele, conciliarti protezioni; e se con taluno gli attriti sociali avesser prodotto qualche scalfittura nei cuori, avere una opportunità, che quasi ti costringa ad obbliare il rancore per non parer discortese? So che queste virtù sociali sono di ogni tempo come gli ossequii religiosi. Ma poichè negli ossequii religiosi l'infinita Sapienza, che conosce sì addentro il cuore umano, alla obbligazione costante volle assegnare il termine perentorio di un dì per settimana e di certe epoche solenni fra l'anno, non sarà ella prudenza sociale il fare altrettanto riguardo alle obbligazioni costanti che corrono fra gli uomini, e assegnare certi giorni impreteribili che ricordino il debito e rasserenino ogni cuore, ogni fronte?» Così mi parlava patriarcalmente il padre mio, e la predica ch'io udiva allora con riverenza senza però troppo capirla, mi sembra oggi sì ragionevole, che in verità il capriccio della moda mi sa del villano e dell'insociabile: nè so comprendere, come a tal capriccio obbedisca sì ossequente la civile, la religiosa Europa.
Ma tant'è, la moda ha parlato, e vogliasi o non vogliasi è mestieri obbedirle, o rinunziando assolutamente ad ogni cerimonia, o per lo meno trasportando il cerimoniale del natale del Signore al primo giorno dell'anno. A chi vuole affrancarsi da ogni cerimonia la moda suggerisce il riscatto; un tanto di elemosina ad un luogo pio; e chiunque avea diritto ad aspettarne una visita, dovrà chiamarsi pago a tal patto. Che se l'usanza fin qui potrà biasimarsi da uomini di cortesia più delicata, a noi però non tocca l'entrare in contesa non dovendo essere i paladini della gentilezza e delle etichette.
Ma poichè molti riconoscono convenevoli tuttavia quegli atti di urbanità che ravvicinano consanguinei e concittadini secondo l'usanza degli avi nostri; perchè mutarne la consuetudine in quanto al giorno, e alle due solennità che ricordavano i più alti misteri di un Dio fatto uomo e risorto dal sepolcro, sostituire un giorno insignificante, non insigne per altro se non per la mutazione di una cifra nel millesimo?
Il ricercarne il perchè potrà parere a taluno futilità ridicola «Il perchè si sa, dirà costui seco stesso; la moda ha i suoi capricci.»
Eh lettor mio, la moda ha i suoi capricci; ma molte volte ella ha pure le sue ragioni; e il ricercarle può riuscire a chi vive in società non meno dilettevole per la curiosità, che profittevole con l'insegnarci a conoscere il mondo in cui viviamo. E che direste se io rispondessi che il Natale ha ceduto al Capo d'Anno in forza del trattato di Westfalia? Ridereste voi forse sotto i baffi e credereste ch'io voglia celiare. E pure la cosa sta proprio così, ed appunto per questo la moda del capo d'anno è sorta principalmente nel mondo diplomatico, ed è una specie di episodio domestico di quella gran tragedia politico-religiosa, che rappresentasi oggi sul teatro europeo intitolata: la separazione dello Stato dalla Chiesa, o la Società laicizzata.
Il trattato di Westfalia aveva condotto i Principi cattolici a riconoscere la legittimità dei protestanti, a lasciare in loro mano il ius sacrorum, a confermare ed estendere l'accordo di Augusta, a mescolare co' consiglieri cattolici i protestanti nella Camera imperiale e nelle Diete [1]: e la stanchezza di trent'anni di guerra, e l'empia politica del Richelieu e di altri disertori cattolici, che tolsero a questi il dettarvi la legge, rende compatibili coloro che non ostanti le rimostranze d'Innocenzo X si rassegnarono a tal condizione. Ma la compassione e il perdono accordato a que' Principi e diplomatici non cambia nè sospende l'effetto dei principii, i quali una volta accettati incalzano inesorabilmente di conseguenza in conseguenza. Accettato dunque il principio protestante a consorzio politico nella società europea, essa dovette necessariamente sobbarcarsi al peso dell'indifferentismo religioso, legittimo figlio di quella Protesta, la quale altamente gridava non esservi autorità sulla terra, che abbia dritto di comandare al pensiero. Se questo non riconosce una guida, ogni cervello ha dritto alla indipendenza; e se usando un tal diritto discorda dagli altri, non è chi possa ragionevolmente risentirsene o negargli il partorire in opera ciò che concepì nella mente. Chiunque pretendesse imporgli un tal divieto sopruserebbe, ledendo un dritto riconosciuto.
Ma avvertite che i divieti possono variamente esprimersi ora intimandoli con parole, ora operandoli col fatto: e questo secondo è non di rado anche più efficace del primo, come è più efficace ad escludere di casa i ladri un buon uscio con chiavistello e spranga, che un cartellone sopravi colla leggenda Non si entri. Anzi anche senza spranga e chiavistello vi sono nella società certi mezzi che costringono con una forza morale più gagliarda talora che i comandi dell'imperante: e la vedete colà, ove predominando la matta superstizione del punto d'onore; l'opinione di quattro monelli imbizzarriti costringe al duello il timido coraggio di uno spadaccino che si espone alla galera ed all'inferno per non subire il vitupero di que' barbari senza cervello. Or questa forza morale, detta volgarmente l'opinione, come si forma e come si esprime nella società? Si forma e si esprime con tutte le istituzioni e con tutte le usanze nelle quali s'incarna qualsivoglia principio; il quale in esse riesce nel tempo medesimo, benchè sotto aspetti diversi, e causa ed effetto. Poichè siccome dapprima il principio specolativo o morale produce istituzioni ed usanze, così in appresso le istituzioni e le usanze conservano, ribadiscono ed infervorano il principio onde nacquero. Uno solo era il Dio regnator della terra quando nel cuore o nell'intelletto de' primi idolatri, offuscatasi l'idea dell'Essere infinito, ribollì il delirio del politeismo: e quanti l'avranno sulle prime or nauseato or deriso per abitual persuasione se non per ragionato convincimento! Ma che? Eretti i templi, e santificate coll'ara le selve, e inghirlandati di solennità i sacrifizi, e propagati nel volgo gli amuleti, e raccontate al focolare domestico le novellette mitologiche, e incarnato in somma in giuochi e riti, in simulacri ed edifizi l'assurdo del politeismo, idolatrò il popolo senza difficoltà alcuna, e quanto più moltiplicava superstiziosamente i suoi numi, tanto più si credè religioso.
Lo vedete; dall'error di pochi erano nate le consuetudini idolatriche, dalle consuetudini idolatriche propagavasi e ribadivasi in tutti l'error dei pochi. Il lieto annunzio dei Pescatori galilei operò sulla terra in senso contrario lo stesso fenomeno: e l'unico Dio del Golgota penetrato nella mente dei credenti diffuse quindi la metamorfosi in tutte le istituzioni sociali. L'idea del Regnatore supremo, uscendo dal cuor del neofito, stampò su tutte le pareti domestiche un Crocefisso, ove prima lussureggiava una Venere, e sparse d'aceto e fiele una mensa impinguata pocanzi colle letizie degli Apicii o col sangue degli schiavi di Pollione. La veste pulla [= abito scuro, o nero o grigio ferro, N.d.R.] e il crine incolto e l'aspetto sereno ma serio, uscendo in pubblico a ricordare il tempo che c'incalza e l'eternità che ci aspetta, diede alla società cristiana la bruna tinta di quelle catacombe onde usciva. La quale impronta se sfiorò solamente alla superficie l'incancrenita civiltà romana, ben seppe internarsi fino al midollo nella rubesta [= gagliarda, N.d.R.] società barbarica sulla quale vergini ed intatti s'improntarono i principii cristiani. In questa società di risorti parea quasi incarnato il detto dell'Apostolo e tutto parea cercasse, tutto sapesse di eterno: Si consurrexistis cum Christo quae sursum sunt quaerite, quae sursum sunt sapite. Ad ogni quadrivio incontravi una croce, sopra ogni chirografo leggevi la Trinità; il sacerdote benediceva la nascita, le nozze, il feretro; la preghiera imbandiva le mense e stendea le coltri; ogni saluto era una giaculatoria, ogni monile portava sospeso un Crocefisso; la divisa della città era un motto evangelico, lo stemma un immagine sacra, il convegno una chiesa, il tamburo una campana benedetta, il tesoro una reliquia di corpi santi. E quando raccolta intorno a quell'urna la moltitudine s'iniziava agli affari del Governo, la concione [= il discorso, N.d.R.] del gonfaloniere potea scambiarsi talora colla predica di un missionario. Di che l'Europa moderna ebbe l'ultimo saggio in quell'Assemblea degli Svizzeri cattolici [il Sonderbund, N.d.R.] che preparava all'altare del loro S. Niccolò i sette Cantoni alla gloriosa benchè sventurata impresa. Nelle due maggiori solennità di Pasqua e di Natale che ricordano al cristiano la gioia e il trionfo della nascita e della risurrezione del Salvatore, un santo giubilo inondava i credenti e versavasi al di fuori in dolci colloqui, in reciproche accoglienze, in festevoli congratulazioni. Così in quella società ancora la fede avea create le usanze di tutto il mondo civile, e le usanze civili ricordavano continuamente e ribadivano i sentimenti di fede.
In una società di tal fatta ove tutto parlava di Dio e del Crocefisso, era egli possibile il tollerantismo protestante? Tacessero pure gli uomini, avrian gridato i fanciulli e, tacendo questi, le pietre contro l'eterodossia di un eretico o l'empietà di un miscredente: il quale posto in tal guisa alle strette fra il vitupero del manifestarsi, la docilità del ricredersi e l'ipocrisia dell'infingersi, dovea stralunare gli occhi e balbutire menzogne o bestemmie ad ogni piè sospinto per non mettersi in lotta con tutte le usanze sociali. Or pare a voi, lettor cortese, che una tal condizione potesse durare a lungo? Finchè la società era pienamente cattolica per lo sbandeggiamento o l'imprigionamento di ogni apostata, nessuno avea interesse ad abolire le istituzioni ed usanze cattoliche: ma poichè il Congresso di Westfalia volle amalgamare in unica società politica le infinite dottrine religiose, pronunziò implicitamente la sentenza contro ogni manifestazione cattolica nella società; e la sanzione di questo decreto fu scritta dalla natura con tutti i più vivi affetti del cuore umano. Troppo ripugna a questo cuore, misterioso impasto di bene e di male, di forza e di fiacchezza, di sentimenti sublimi e di vergognose turpitudini l'affrontare a lungo il vitupero dei concittadini, la riprovazione dei superiori, la freddezza dei domestici. Avea dunque bisogno di eliminare dalla vita pratica checchè ripugnasse ai suoi convincimenti, e far sì che le usanze della vita sociale fossero pienamente indifferenti ad ogni sentimento religioso; cotalchè si acconciasser del pari ad un cattolico o ad un protestante, ad un Ebreo o ad un Musulmano, ad un Bramino o ad un Buddista. Ecco dunque la ragione, ecco la necessità di abolire e perseguitare mille usanze antiche nella società novella e di sostituire alle prime mille altre poco in apparenza diverse.
Che gran differenza vi è tra il capo d'anno e il Natale? Otto giorni prima, otto giorni dopo; valea la spesa di mutar costumanza? Eppure sì: chè assegnato all'omaggio ceremoniale il primo giorno dell'anno, tutti possiamo esser d'accordo, per poco che vogliamo deporre ogni rimembranza o rancore di antiche dissensioni religiose. Queste dissensioni agli scismatici di Russia han fatto preferire l'error dell'almanacco alla verità della correzione gregoriana; ed essi continuano, e bene sta, a mostrare la stupidezza dello scisma perfino nella immobilità del calendario. Ma se ne togliete queste anomalie dello spirito settario, ogni uomo che veste panni può senza difficoltà acconciarsi a salutare i maggiori o convitar gli amici pel primo giorno di Gennaio.
Ma potrebb'egli ugualmente un Ebreo, un Bramino, un Deista, un empio acconciarsi a mostrar riverenza pel 25 Decembre? Voi comprendete che in questa, come in ogni altra usanza cattolica per cui ricordisi un mistero di nostra fede, ne forma, direi quasi, una professione pubblica, alla quale chiunque non crede dee sperimentar ripugnanza or sia per lealtà d'animo cui ripugna il fingere, or per Teofobia cui indispettisce ogni rimembranza di Dio.
Ecco dunque il vero motivo per cui la società novella, il cui tipo ideale assunse il nome di Giovane (Giovane Europa, Giovane Italia, Giovane Allemagna ecc.) dovette naturalmente far di tutto affine di abolire ad una ad una tutte quante le consuetudini cattoliche compresivi i complimenti consueti di Natale e di Pasqua.
Nè qui era mestieri di congiura o di setta: bastava la voce di natura per suggerire agl'increduli (posta la loro incredulità), l'abbandono di queste pratiche esterne, come la natura or guidata, or autenticata dalla Chiesa ne avea consigliata ai cattolici l'introduzione. E sebbene siam persuasi, che e cospirazioni e sette abbiano favorito ed accelerato quello sperpero universale di usanze cattoliche, che erano passate fra noi in Italia nel tesoro dei sentimenti nazionali; pure comprendiamo benissimo che senza malizia, senza scrupolo al mondo siensi mutate e si vadano continuamente mutando moltissime di simili consuetudini senz'avvertire all'effetto morale che dalla mutazione necessariamente consiegue.
Veggiam benissimo che queste nostre osservazioni a qualche cervello superficiale potranno sembrare i compianti di un vecchio che laudator temporis acti vorrebbe tornarci ai castelli della feudalità e agli abiti alla spagnuola: e per costoro non abbiamo risposta. Ma parlando agli uomini ragionevoli siam certi, che molti e molti troveranno materia di gravi pensieri non già in questa o quella materiale esteriorità introdotta od abbandonata, ma sì in quella universale mania di tutto abolire ciò che ricorda un dogma, un dovere, un fatto, un sentimento religioso.
Chiunque conosce le moltitudini sa benissimo che la loro educazione, meglio assai che dai dettati di un aio o di un maestro, esse la ricevono da quell'universale ammaestramento sociale, di cui ad ogni passo sentono una qualche lezione nel consorzio civile. Certi increduli ed ignoranti che a ciò non badano, deridono talvolta la fede dell'idiota cattolico, perchè, dicono, sulla autorità di un solo prete è pronto a credere misteri che non comprende. Non veggono costoro che così declamano, come il cattolicismo siasi talmente incorporato nelle società, che l'idiota ne beve gl'insegnamenti da tutto il vivere sociale. Ogni chiesa che incontra per via, ogni croce che saluta al crocicchio, il prete che porta il Santissimo agli infermi, il cataletto che trasferisce il cadavere al sepolcro, i rintocchi dell'avemaria, la dies illa del mendico che prega, lo splendor dell'argento che adorna un reliquiario, i zendadi [= drappi, N.d.R.] sospesi ai balconi per una processione, il corteggio di uno sponsalizio o d'un battesimo, ogni passo in somma, ogni sguardo, ogni accento attesta all'idiota che tutta la società la pensa con lui, e il discreder è divenuto per necessità una guerra a morte contro la società medesima: testimonii quegli empi stessi, i quali per ridurla a non parlar più da cattolica, tutti furono obbligati a sconquassarla e capovolgerla fino al più profondo delle fondamenta. E qual punto vi ha dell'esistenza sociale ove i rigeneratori non abbiano tentato di penetrare e sconvolgere? L'ordine scientifico, vedemmo più volte qual crollo ricevesse dal libero esame e dalla indipendenza eterodossa. L'ordine sociale fu trasformato dall'imo al sommo col Patto del Ginevrino [Il patto (o Contratto) sociale di Jean-Jacques Rousseau, N.d.R.]: l'ordine domestico può dirsi distrutto pel matrimonio civile e pel divorzio che ne consiegue: le arti belle e perfin le meccaniche sottratte ad ogni tutela di Santi patroni e di Consoli dell'arte. La secolarizzazione insomma di tutta la società è il vanto per molti della età moderna come la separazione della Chiesa dallo Stato. Or che altro è secolarizzazione della società se non il sottrarla assolutamente ad ogni influenza del principio religioso?



A dir vero non sarebbe questo il vero significato della parola in lingua volgare, giacchè noi conosciamo in Italia un ceto laicale cattolico, come conosciamo un sacerdozio. Ma il ceto laicale potrà egli mai sottrarsi ad ogni influenza del sacerdozio nella vita civile, finchè questa è un intreccio di rimembranze religiose e riconosce nel clero un maestro del vero e del giusto, regolatore del credere e dell'operare? Finchè un sacerdozio esiste ed è riconosciuto da una società qualunque, è impossibile che questa realmente si laicizzi, si secolarizzi nel senso di questi miscredenti moderni: i quali sentono essi stessi così profondamente l'impossibilità di emancipare una società cattolica da ciò ch'essi chiamano la clerocrazia che dopo aver tentato di separare la causa dei laici da quella del clero, osteggiando i preti senza offendere i laici, si sono finalmente ridotti ad attribuire qual nome proprio al laicato cattolico il titolo profondamente filosofico di partito clericale.
Se dunque, finchè rimane nella società un sentimento religioso, ella non può soddisfare alla costoro brama secolarizzandosi; se i laici continuano ad essere necessariamente clericali, finchè non si rendono increduli; e se non potrà mai venir meno del tutto il sentimento religioso nella società finchè le usanze sociali ricordano misteri e fatti, riti e precetti, premii e minacce, benefizi e castighi del Dio dei padri nostri; non è chi non veda come a laicizzare la società è necessario l'andar sopprimendo una dopo l'altra tutte quelle orme che sulla polvere del nostro mondo lasciò stampate il Nazareno che vi passò benefaciendo et sanando.
Percorrete pure queste orme, anche le più leggiere, le più minute dai fastigii della scienza nell'accademia, alle più umili materialità nella capanna, e vedrete da per tutto lo spirito eterodosso accanito a cancellarvi ogni rimembranza di Dio: e quasi ti sembra vedere in grande quella scena appunto che accadde in miniatura in certi paesi allorchè al cadere del giglio borbonico, o dell'astro imperiale, i lor nemici accaniti ne cancellarono gli stemmi da ogni luogo e si spesero somme vistose per togliersi d'innanzi agli occhi ogni ricordo di una grandezza che voleasi sradicata per sempre. Or così appunto l'empietà ha perseguitata ogni rimembranza cattolica stampata nelle usanze sociali, senza arrossire in questo delle più minute puerilità. Come fu abolito l'augurio delle due Pasque fra l'anno, si volle abolire il giorno del Signore fra la settimana; come si abbatterono i templi o si profanarono nelle città, si cancellarono o si atterrarono le madonnette e le croci su i piloni della campagna; come le formole diplomatiche soppressero la Trinità nei protocolli; così la moda proibì il segno di croce alla mensa. Non più crocefisso al monile, non più al capezzale o alla lettiera; vietata in pubblico la solennità dei funerali dalla legge, vietato lo scoprirsi il capo ad una Chiesa dall'usanza. Il saluto famigliare presso certi popoli avea forma di giaculatoria e fu deriso; l'osservanza di certe astinenze compariva in pubblico e fu soppressa; i giorni sacri della passione riveriti prima con pubblica mestizia si accomunarono cogli altri nei negozii, e nei teatri. I nomi di certe virtù erano cristiani e si cancellarono dal vocabolario civile sottentrando invece le virtù pagane; e la carità divenne filantropia, l'elemosina beneficenza, la religione superstizione, la mortificazione o stoltezza o delitto. Si trovò pericolosa alla fronte del neonato l'acqua del battesimo, come al cristiano moribondo lo annunzio dei sacramenti. Si proibì nelle contrade una tonaca religiosa per non esporla al disprezzo; nelle famiglie una lettura divota per non riscaldare il fanatismo. Le ore della giornata furono distribuite in maniera che ogni assistenza alle Chiese venisse impedita: la mattina dal sonno, la sera dal pranzo. Il sollievo di una solennità religiosa fu giudicato nocivo all'industria, ma necessario a riconfortarla parve il teatro cotidiano e i pubblici giardini e spettacoli e convegni d'ogni maniera. Insomma per non dilungarmi in infinito dirò tutto in una parola: cercate voi medesimi qualunque avanzo, qualunque reminiscenza cristiana nelle consuetudini sociali; e se lo spirito della giovane Europa, della moderazione ipocrita, del volterianismo beffardo non han fatto di tutto per cancellarlo e distruggerlo, e schiantarlo; dite pure francamente, che non se ne sono addati vivendo nell'atmosfera cattolica, come non si accorge di qualche proprietà singolare dell'atmosfera in cui vive, colui che di lunga mano è abituato a respirarla.
Le quali osservazioni se a voi compariscono, come a noi, evidenti, vi riuscirà agevole l'inferirne una pratica conseguenza: vale a dire che se non possiamo a nostro talento rifabbricare il mondo e cangiare la società; ben possiamo, ed è di somma importanza per ogni amatore della religione, contrapporre al conato distruttivo degli empii un conato ristorativo della pietà. Spieghiamoci.
Abbiam detto pocanzi, l'educazione del popolo ottenersi meglio assai coll'influenza delle usanze sociali, che col moltiplicare libri, o colla solennità degl'insegnamenti. I libri non si leggono, gl'insegnamenti o non si ascoltano o non si credono: le usanze all'opposto e si seguono per una quasi morale necessità, e vi si aderisce per quella forza che esercita sugl'intelletti, vogliasi o non vogliasi, l'universale consentimento della società. Senza bisogno dunque di andare a risuscitare questa o quell'altra delle antiche usanze italiane (sebbene a dir vero queste patrie rimembranze hanno sopra un cuor ben fatto un immenso potere), facciasi in modo che la religione della mente e del cuore trapassi nuovamente nel mondo civile e ne moderi, ne informi ogni consuetudine, ogni istituzione. Vegga il popolo che i dogmi del cristianesimo non sono un formolario ceremoniale, come le formole legali nel rogito di un istrumento, che vengono lette e firmate da molti, senza pur comprenderne il significato. Vegga che ogni precetto del Vangelo, ogni istituzione della Chiesa si fa strada nella pressa del mondo materiale, e che tutti fanno ala al suo passaggio: vegga che il sentimento religioso come parla in ogni cuore, così suona sopra ogni labbro e splende sopra ogni fronte: vegga che siccome il cristiano a gloria solo del suo Creatore, e a strumento di salvezza, dee volgere ogni atto benchè animalesco e materiale [2]; così in ogni atto, benchè animalesco e materiale, la Società impronta con l'usanza un suggello, o sparge un profumo di sentimento religioso.
Molto si parla a dì nostri di educazione del popolo: e in ciò il dispendio dell'erario ha pareggiato molte volte la sterilità dei tentativi! Sapete perchè? Perchè mancava a questi (pognam pure che fossero per sè e onesti e prudenti) mancava quella universalità che comanda, quell'assiduità che ricorda, quella concordia che strascina. Se invece di profondere tesori, si fosse armonizzato il perpetuo insegnamento delle usanze civili; se la morale raccomandata dal nonno nell'angolo del focolare, armonizzasse, coi precetti della scuola, e questi col catechismo del Parroco; se l'impressione del Parroco non fosse cancellata dalla conversazione della bettola, o la probità raccomandata dal nonno, non venisse derisa dall'istrione sul teatro: il concerto armonico di tante voci nel ripetere ciò che natura detta ed approva in ogni cuore onesto, non potrebbe a meno di non trarre dietro di sè il popolo, come dietro alle corde d'Orfeo moveano le piante e i sassi.
Ma questo accordo, chi nol vede? mai non potrà aversi fuor del cattolicismo dichiarato e franco, ovvero fuor dell'ignoranza stupida e servile. Questa forma l'unità dei Musulmani e dei Russi, quello, di ogni altra gente incivilita e pensante. E la Francia che nell'energia della vita prattica non ha forse in Europa nazione che la pareggi, già si è incamminata per questa via e ristora con isforzi inauditi l'insegnamento di questa consuetudine cattolica in ogni via, in ogni sentiero, in ogni callaietta della vita: e già il clero è rientrato nei consigli dell'insegnamento, e le botteghe cospirano a chiudersi nei dì festivi, e le congreghe di operai alzano a capo un Santo, e al convegno profano sottentra il circolo religioso. Non per questo risorgerà in un attimo la Società cattolica in Francia; chè non si riedifica in sei anni, ciò che fu distrutto in sessanta essendo anzi molto più lungo il fabbricare che il distruggere. Ma è dato l'impulso, è conosciuta la via, è ideato il termine; e in questi tre elementi già è contenuto virtualmente il ristoramento compiuto di una Società cattolica.
Volesse Dio, che noi in Italia, ove lo sterminio e lo sperpero ancor non fu che parziale, e tanti ancor sussistono usi e rimembranze, monumenti e leggi del cattolicismo antico, si comprendesse ugualmente la necessità di conservare e ravvivare lo spirito nelle consuetudini che tuttora sussistono, e d'informare novamente col soffio divino tutto il cadavere delle istituzioni che languiscono. Tale è il voto che facciamo per la patria nostra nell'aprir di quest'anno 1854, e che, non dubitiamo, sarà ripetuto dal pieno assenso dei nostri leggitori.

Ceppo: Porzione di tronco o di grosso ramo che si brucia sul focolare o nel caminetto; donde, per antonomasia, la festività del Natale (dall'uso di conservarne uno, benedetto, per tale ricorrenza) ed, estens., strenna natalizia.

NOTE:

[1]  V. Cantù, Storia universale Ep. XV, c. 26.
[2] Sive manducatis, sive bibitis.

Mons. Raffaele M. Coppola: Infallibilità dei Concilii ecumenici.

Da: Mons. Raffaele M. Coppola, Dei Concilii ecumenici in generale ed in specie del Concilio Ecumenico Vaticano, Roma 1869 pag. 69-90.
 
 

Mons. Raffaele M. Coppola

Protonotario Apostolico, membro dell'Almo Collegio dei Teologi di Napoli

CAPO XIX.

Infallibilità dei Concilii ecumenici, e sin dove essa si estenda.

Già più volte nel decorso di questo opuscolo abbiamo dichiarato, ed ora ci piace ripeterlo ancora una volta, che sotto nome di Concilio ecumenico legittimo intendiamo l'adunanza de' Pastori della Chiesa universale, i di cui decreti sono stati approvati dal Romano Pontefice. Ora, che cotesti decreti o definizioni, quando trattasi di cose riguardanti la fede, ovvero i costumi, siano irreformabili, e che il giudizio di un Concilio, inteso nel modo or ora descritto, sia infallibile, nessun vero cattolico vorrà metterlo in dubbio.
Il Cardinal Bellarmino dimostra dapprima questa verità colle testimonianze della divina Scrittura, e le divide in quattro classi. Mette in primo luogo quelle che riguardano i Concilii considerati in sè stessi: nella seconda categoria novera le testimonianze, colle quali dimostra che la Chiesa rappresentata nei detti Concilii non può errare: stabilisce nella terza quelle che riguardano l'infallibilità del Papa, dal quale i medesimi Concilii sono confermati: in ultimo luogo collega quelle autorità, dalle quali emerge, che i vescovi debbono tenersi in conto di pastori, condottieri, e dottori della Chiesa. — Noi, in tanta abbondanza di mèsse, non faremo che spigolare soltanto, siccome si addice alla natura di un opuscolo, e riassumeremo quello, che dal lodato autore viene esposto con maggiore diffusione ed ampiezza.
1.° Considerando i Concilii ecumenici, quali sono in sè stessi, evvi la promessa fatta da Gesù Cristo: «Dove sono due o tre persone congregate in mio nome, quivi io sono in mezzo a loro [1].» Le quali parole non debbono intendersi nel senso di Calvino, in guisa che anche letteralmente le decisioni di due o tre persone siano infallibili, ma unite colle altre parole precedentemente dette dal Redentore, quando parla dell'incorreggibile, il quale dev'essere denunziato alla Chiesa; ed ove anche alle ammonizioni della medesima si mostrasse contumace, debba considerarsi come un infedele. L'argomento dunque delle due o tre persone è un argomento che i filosofi chiamerebbero dal minore al maggiore, siccome osserva l'A-Lapide, commentando questo luogo. Se di fatto Gesù Cristo trovasi in mezzo di due o tre persone congregate nel suo nome, a quanto miglior ragione non si dovrà trovare in mezzo a tutta la Chiesa docente riunita in Concilio? Pertanto l'assistenza divina non si deve intendere promessa, se non a quella Chiesa, cui, secondo le parole dette dal Redentore nel medesimo discorso, deve essere denunziato l'incorreggibile, ed ai Pastori principali di essa, ai quali poco innanzi egli avea conferita la così detta potestà delle chiavi.
Inoltre l'assemblea conciliare, per godere della divina assistenza promessale, deve essere riunita nel nome di Gesù, e secondo i suoi ordinamenti; cioè deve comprendere i Vescovi uniti al loro Capo. Così la citata testimonianza è stata interpretata dai Padri del Concilio di Calcedonia, nella loro lettera al Pontefice san Leone: così l'intese il terzo Concilio di Toledo; ed i santi Pontefici Innocenzo, e Celestino, nonchè san Cirillo nella esposizione del simbolo Niceno [2].
Oltre a ciò, vi è l'altra testimonianza dell'Evangelo di San Giovanni [3], colla quale Gesù Cristo promette ai suoi Apostoli, e loro successori, che manderà lo Spirito Santo, il quale insegnerà loro ogni verità. E finalmente è notevole sopra tutto quello che dissero gli stessi Apostoli riuniti nel primo Concilio di Gerusalemme: «È paruto allo Spirito Santo, ed a noi [4].» Le quali parole annunziano l'assistenza dello Spirito Santo ai Concilii, tanto necessaria per la conservazione della Chiesa. Sono dunque infallibili le definizioni de' Concilii, considerati in se stessi, in ciò che riguarda la fede ed i costumi.
2.° Vengono in secondo luogo le testimonianze che dimostrano l'infallibilità della Chiesa docente, sia essa riunita in Concilio, sia dispersa in tutto il mondo. Questa Chiesa, edificata sulla pietra fondamentale, super hanc Petram, viene assicurata di non poter crollare, anche dietro gli urti delle potenze dello stesso inferno [5]. Il divino suo fondatore ha promesso di non privarla di sua assistenza sino alla consumazione dei secoli [6] ed essa viene denominata da san Paolo colonna ed appoggio di verità [7]. Ora non sarebbe edificata indefettibilmente sulla pietra stabile; non godrebbe della divina assistenza sino al declinare de' secoli; non sarebbe colonna ed appoggio di verità, se potesse cadere in errore. Adunque le definizioni della Chiesa docente, o dispersa o riunita in Concilio ecumenico, in ordine alla fede ed ai costumi debbono essere infallibili, ed irreformabili.
3.° In quanto alla infallibilità del Romano Pontefice, è assai celebre la testimonianza di san Luca, colla quale Gesù Cristo disse a san Pietro, ed in esso a tutti i suoi successori: «Io ho pregato per te, affinchè non venga meno la tua fede, e tu una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli [8].» Ora è appunto il Pontefice Romano, successore di san Pietro, cui è stata promessa l'infallibilità, segnatamente in ordine alla fede ed ai costumi, il quale approva i legittimi Concilii ecumenici. Dunque i canoni e decreti dei medesimi, in ordine alla fede ed ai costumi, sono infallibili.
4.° Vengono in ultimo luogo tutte quelle testimonianze della Scrittura, dalle quali emerge che i Vescovi debbono tenersi in conto di pastori, ai quali incombe preservare il gregge dai pascoli velenosi; come giudici, ai quali spetta insegnare. Chi ascolta voi, ascolta me [9]: Insegnate a tutte le nazioni. [10]. Or da queste, ed altre testimonianze non poche, consèguita, che se dobbiamo seguire i Vescovi e dottori, e lasciarci istruire da loro, almeno almeno essi non possono andar soggetti ad errore allorchè son riuniti nel nome del Signore, sotto la dipendenza del Romano Pontefice, e quasi con una sola bocca insegnano.
Sarebbe poi opera da non finirla più, se alle testimonianze bibliche volessimo unire quelle dei Santi Padri, i quali tutti, dal primo all'ultimo, dicono, che il giudizio di un Concilio ecumenico nelle cause di fede e di costumi sia ultimum Ecclesiae iudicium, il quale è irretrattabile; che sono eretici e scomunicati tutti coloro i quali non si uniformano a quei giudizii; che quei decreti sono divini, ed inspirati dallo Spirito Santo; che debbono ritenersi egualmente che i quattro Evangeli; e finalmente, che si debba piuttosto morire, anzichè discostarsi da essi.
Finalmente la stessa ragione deve convincerci di tale verità.La Chiesa ha un triplice uffizio, cioè 1.° di testimone, 2.° di giudice, 3.° di maestra. Come testimone deve assicurare colla sua autorità quelle verità, che ha apprese dà Gesù Cristo: come giudice, deve dirimere le controversie, e pronunziare sentenza sulle quistioni, che si riferiscono alle stesse verità: finalmente come maestra, ha il compito d'istruire i fedeli in tutto ciò che riguarda l'intemerata dottrina, e l'integrità de' costumi, e per tal modo li manoduce alla eterna beatitudine. Or se per un momento si togliesse di mezzo la dote della infallibilità accordata alla Chiesa docente, sia essa dispersa in tutto il mondo, sia riunita nei Concilii ecumenici, i fedeli tutti non sarebbero più in grado di conoscere la vera dottrina di Gesù Cristo; non avrebbero più a cui ricorrere nelle controversie; nè vi sarebbe più chi possa mandarli alla eterna beatitudine, proponendo loro le verità da credere e le cose da praticare.
Se dunque gli uomini non debbono essere quasi pargoli vacillanti, ed agitati da ogni vento di dottrina, egli è mestieri che la Chiesa sia infallibile nelle cose speculative, cioè riguardanti la fede, e nelle pratiche, che han per oggetto i costumi. Tale deve essere per corrispondere al fine, per il quale Gesù Cristo l'ha istituita, e le ha promesso la sua assistenza sino alla consumazione de' secoli; cioè per fornire agli uomini tutti i mezzi, onde pervenire alla cognizione della verità e conseguire la vita eterna. Ora, a raggiungere codesto nobilissimo e supremo scopo, due cose sono indispensabili, cioè la fede e le opere. La fede, perchè insegna l'Apostolo delle genti, che senza di essa è impossibile piacere a Dio [11]: le opere, perchè dall'Apostolo san Giacomo apprendiamo, che la fede senza le opere è morta [12]. Di che, se la Chiesa deve insegnare le cose che si debbono credere, e dare le norme del retto operare, è necessario che essa sia infallibile nell'una e nelle altre: altrimenti essa correrebbe pericolo di diventare maestra di errori, e potrebbe proporre vizii in vece di virtù.
Se non che, quale è poi l'organo della Chiesa? Non vi è dubbio che lo sia il Romano Pontefice, successore di san Pietro, cui disse Gesù Cristo: «Io ho pregato per te, onde non venga meno la tua fede, e tu una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli.» All'infuori delle testimonianze riguardanti la presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia, noi non ne conosciamo altre più limpide e chiare di quelle, che riguardano questa prerogativa di san Pietro, e de' suoi successori. Egli, che è il principale Pastore, deve additare i pascoli al mistico gregge dei fedeli. Però deve ritenersi come egualmente certo, che anche i legittimi Concilii ecumenici siano un organo precipuo dell'infallibile magistero della Chiesa, riunendosi in essi tutti i possessori dell'autorità dottrinale; cioè il Papa, che la possiede individualmente, e sotto di lui, e con lui, i Vescovi dell'orbe cattolico, che la possedono collettivamente e solidalmente. E qui è da ammirare la sapienza e la bontà di Dio nell'ordinamento della sua Chiesa; nella quale, poichè non è sempre nè agevole nè conveniente riunire i Concili ecumenici, egli volle che per via ordinaria si potesse provvedere alla sua unità e conservazione col primato infallibile de' Romani Pontefici. Ma perchè poi previde che sorgerebbero alcune straordinarie circostanze, volle che avesser luogo anche i Concilii, non solo affinchè questi nei bisogni più gravi e straordinarii della Chiesa alleviassero al Pontefice il gravissimo suo carico; ma ancora perchè, oltre del dono dell'infallibilità, l'assemblea ecumenica, nella quale è adunato il fiore del senno cattolico e mondiale, offrisse, anche umanamente parlando, le più solenni guarentigie di verità, che si possano bramare; e per tal modo gli errori fossero più solennemente condannati, ed i fedeli più facilmente si piegassero a riverire gli oracoli di fede che vi sarebbero pronunziati, ed ad osservare le norme morali che vi si potrebbero additare. Se non che, l'infallibilità del Romano Pontefice e della Chiesa, o dispersa pel mondo, o riunita nei Concilii ecumenici, non si limita solo alle cose che riguardano la fede ed i costumi. Il fine di Gesù Cristo nell'istituire la medesima fu di conservare la religione da lui rivelata, e condurre gli uomini per mezzo di essa alla eterna beatitudine. Però ai Pastori della detta Chiesa egli diede il diritto, ed impose il dovere di custodire nei fedeli il deposito della fede, allontanandoli da ogni dottrina, che potesse in qualunque modo macchiarla, indebolirla, od anche spegnerla. Similmente diede loro il diritto ed il dovere di stabilire tutto quello che nei fedeli è necessario ed opportuno per rendere a Dio il culto conveniente, e per camminare rettamente secondo le massime ed i consigli della religione. Oltre a ciò, egli è indubitato che tutta la Chiesa, in quanto comprende tutti i fedeli, è infallibile nel credere, nè può prestare un culto falso o superstizioso, o seguire quello che allontana invece di avvicinare a Dio. Di qui è evidente che il Concilio ecumenico è infallibile, non solo nelle definizioni di fede o di costume, ma eziandio in tutto quello, che in qualche modo vi ha relazione, oppure che è connesso col culto da prestarsi a Dio, o coi mezzi che dobbiamo o possiamo seguire per giungere alla eterna felicità. Imperciocchè l'errore in tali materie aprirebbe la via all'errore nella fede stessa, o circa i costumi; ovvero non ci farebbe dare a Dio un culto conveniente, nè camminare nella via diritta; e metterebbe a pericolo la stessa Chiesa, specialmente la sua indefettibilità e santità. Quindi, checchè possa dirsi in contrario per alcuna delle seguenti materie, il Concilio è benanco infallibile. 1.° Nei fatti misti, che da taluni diconsi dommatici.
2.° Nel condannare qualche proposizione, non come ereticale, ma in qualunque modo alla fede ed alla Chiesa nociva, cioè come erronea, prossima all'eresia, falsa, scandalosa, temeraria, oltraggiosa, ovvero ingiuriosa, alla potestà della Chiesa, favoreggiatrice degli eretici, derogatrice ed offensiva dell'autorità della medesima Chiesa e dei Sommi Pontefici, e via dicendo.
3.° Nel dichiarare le verità, le quali, benchè primariamente e nella materia prossima non siano teologiche, ma filosofiche, politiche, sociali, istoriche ecc.; pure talmente si connettono colle verità rivelate, e colla professione cristiana, che la loro dichiarazione è spesso utile o necessaria. Questa dichiarazione può farsi, come in tutte le altre, sia coll'esporre la verità, sia col condannare l'errore opposto [13].
4.° Nello stabilire la disciplina universale della Chiesa.
5.° Nella canonizzazione dei Santi.
6.° Nell'approvazione delle regole degli ordini religiosi.

§. I.

E qui avendo accennato ai fatti dommatici, circa i quali la Chiesa è infallibile nei suoi giudizii, non sarà inopportuno il dichiarare che cosa intendasi sotto questo nome [14]. I teologi dicono, che un fatto collegato col diritto, ovvero un diritto fondato sul fatto, ovvero un fatto dal quale è determinato il diritto, dicesi fatto dommatico. Si distinguono poi codesti fatti, in quelli che da alcuni chiamansi meramente dommatici, e questi hanno luogo allorchè i detti fatti non si possono negare senza negare, in pari tempo, il dogma; in quelli che diconsi misti o medii, negando i quali, non si viene a negare apertamente il dogma, ma si apre la via ad errori contro la fede ed i costumi; e finalmente in fatti semplici, o personali, i quali non sono per nulla connessi col dogma. In quanto ai primi ed ai secondi, cioè ai meramente dommatici ed ai misti, non deve dubitarsi che la Chiesa docente, o dispersa, o riunita in Concilio, od anche il solo Romano Pontefice, sia infallibile. Non così pei fatti semplici o personali, i quali si possono asserire o negare senza detrimento della fede e dei costumi; e nel decidere i quali la Chiesa si serve di amminicoli soggetti ad errore, cioè delle testimonianze degli uomini. Nel decidere di questi ultimi fatti la Chiesa, sebbene abbia sempre una grande autorità, pure non gode del pregio della infallibilità.
La quale prerogativa dell'infallibilità della Chiesa, non solo ne' fatti che diconsi meramente dommatici, ma eziandio in quelli che vengono denominati medii o misti, trova il suo fondamento nelle sacre Scritture. Nell'Evangelo leggiamo che Gesù Cristo disse a san Pietro: Pasci le mie pecorelle, pasci i miei agnelli [15]. Ora per pascere si richiede, che il pastore allontani il suo gregge dai pascoli velenosi, e lo guidi ai salutevoli; la qual cosa soventi volte importa, in ordine al Romano Pontefice ed alla Chiesa, il diritto di giudicare degli anzidetti fatti dommatici e misti. — Inoltre apprendiamo dall'Apostolo delle genti, che Gesù Cristo altri costituì Apostoli, altri Profeti, altri Evangelisti, altri Pastori e dottori, per il perfezionamento de' santi, pel lavorio del ministero....; onde non siamo fanciulli vacillanti, e portati quà e là da ogni vento di dottrina, pei raggiri degli uomini, e per le astuzie onde seduce l'errore [16]. Che di più chiaro per dimostrare il diritto dato da Dio alla Chiesa, di giudicare se un fatto sia conforme, ovvero in opposizione col dogma o colla morale? Ma procediamo più innanzi. Il lodato Apostolo esorta per tal modo i Pastori della Chiesa, e dice loro: «Badate a voi stessi, ed a tutto il gregge, di cui lo Spirito Santo vi ha costituiti Vescovi per pascere la Chiesa di Dio; e dopo poche parole soggiunge: Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi de' lupi crudeli, i quali non risparmieranno il gregge...; per lo che vegliate [17].» Che diremo delle esortazioni, che quel gran vaso di elezione fa al suo discepolo san Timoteo? «Verrà tempo, egli dice, che non potran tollerare la sana dottrina, ma secondo le proprie passioni, per prurito di udire, moltiplicheranno a sè stessi i maestri, e si ritireranno dall'ascoltare la verità, e si volgeranno alle favole. Ma tu veglia sopra tutte le cose [18]. O Timoteo, soggiunge altrove, custodisci il deposito, avendo in avversione le profane novità delle parole, e le contradizioni di quella scienza di falso nome, della quale alcuni facendo pompa, han deviato dalla fede [19]. Tieni la forma delle sane parole, che hai udito da me colla fede...; custodisci il buon deposito, per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi [20].» Se dunque non c'inganniamo, sembra che dalle addotte testimonianze scritturali emerga chiaramente, che la Chiesa deve esaminare alcuni fatti, e mettendoli, per così dire, dirimpetto al dogma, giudicare se sieno conformi od avversi ad esso: nel che consiste senza dubbio tutta la ragione del giudizio sui fatti misti, che da taluni diconsi dommatici.
Nei quali giudizii la Chiesa non può errare, e quindi è infallibile. Per fermo essa non solo deve considerarsi come testimone infallibile del deposito della rivelazione, la cui custodia venne a lei affidata da Gesù Cristo e dagli Apostoli; ma deve riguardarsi in pari tempo come giudice infallibile nel dirimere le quistioni, e come maestra, che non può andar soggetta ad errore nel ministero quotidiano. Ma non sarebbe nè giudice, nè maestra infallibile, se non fosse eziandio sicura di non poter errare nei fatti dommatici, nei quali il fatto è così strettamente connesso col dritto, che in niun modo se ne può fare estrazione. O dunque bisognerebbe negare alla Chiesa il potere di giudicare del detto dritto, il che nessun cattolico vorrà pur pensare; ovvero si dovrà convenire che essa, con giudizio altrettanto infallibile, quanto è quello con cui giudica del solo dogma, possa giudicare altresì del fatto che gli è collegato. Se questa prerogativa si negherebbe alla Chiesa, a lei non resterebbe più in tal caso alcun mezzo per allontanare i lupi dal gregge dei fedeli, e questi non saprebbero più qual dottrina abbracciare; se cioè quella della Chiesa, ovvero la contraria, che loro si propone dal nemico di ogni bene.
Del resto la Chiesa sempre ha usato di tale prerogativa, segnatamente nel condannare gli errori: anzi spesse volte ha inflitto anche delle pene contro i contumaci. Di fatto nel Concilio di Nicea condannò non solo l'eresia, ma la stessa persona, e gli scritti di Ario; in quello di Calcedonia condannò non solo l'eresia, ma la persona eziandio di Nestorio, ecc.
In questo luogo però ci piace avvertire, che la condanna degli errori può essere o specialmente a ciascuna proposizione, od anche come dicesi in globo: nell'una e nell'altra maniera la Chiesa è sempre infallibile. Non sarà anche inopportuno accennare qui di passata, che soventi volte la Chiesa, nel procedere alla definizione di alcuni fatti misti, o medii, o semplicemente dommatici che vogliansi dire; come anche nell'approvare e riprovare le dottrine delle quali or ora abbiamo parlato, stabilisce una argomentazione a modo di sillogismo, la di cui proposizione maggiore contengasi nella rivelazione; nella proposizione poi, che i filosofi chiamano minore, la Chiesa stessa fa l'applicazione del principio rivelato a quel determinato fatto sul quale vuole giudicare; e quindi ne deduce la conseguenza. Così, per esempio, dovendo procedere alla canonizzazione di un beato, essa stabilisce il principio evangelico, nel quale Gesù Cristo annunziò, che sono beati i poveri di spirito, i mansueti, quelli che soffrono persecuzione per la giustizia, ecc.: nel tempo stesso tiene presente l'altro principio, che cioè Dio sommamente santo e verace, non può concorrere a che si renda il culto ad un reprobo, con dei miracoli operati all'invocazione del medesimo, dopo seguita la sua morte. In seguito applica quei principii all'eroe, che vuole innalzare all'onore degli altari, e dice: Ma il tale, è stato veramente povero di spirito, ovvero mansueto, ovvero ha sofferto persecuzioni per la giustizia; e Dio ha operato miracoli alla sua invocazione, in compruova della sua santità e gloria ecc. — Di che finalmente conclude, che egli regna in cielo, e che può ricevere il culto dovuto ai santi. — Similmente dicasi, a maniera di esempio, se deve pronunziare sulla necessità del dominio temporale. La Chiesa mette per base il precetto dato da Gesù Cristo a san Pietro, ed in esso a tutti i Romani Pontefici, di pascere gli agnelli e le pecorelle, cioè governare tutti i credenti, siano vescovi, siano semplici fedeli. Quindi esamina le circostanze nelle quali versa, e dice: Ma nelle attuali circostanze riuscirebbe pressochè impossibile governare la Chiesa, se il Papa non avesse signoria temporale. E finalmente ne trae la conclusione, che codesta signoria, nelle circostanze nelle quali versiamo, è indispensabile. — Egli è dunque evidente, dagli esempii allegati, e da altri che potremmo aggiungere, che la Chiesa nel decidere di somiglianti fatti, i quali non si contengono chiaramente, e conceptis verbis nel deposito della rivelazione, pure procede sapientissimamente, ed alla rivelazione stessa si appoggia; mentre essa nelle sue definizioni e decreti, non opera di suo talento, ma, come abbiamo osservato in altro luogo del presente opuscolo, esamina, svolge, e sviscera, per così dire, il deposito della rivelazione a lei affidato, e quindi con magistero infallibile, e coll'assistenza promessale dallo Spirito Santo, vi riconosce quelle verità, che più o meno chiaramente, o almeno nei principii ed in massima, nella detta rivelazione sono contenute. Sviluppata per tal modo colla maggiore possibile precisione e chiarezza la troppo difficile teorica sui fatti meramente dommatici, e su quelli che diconsi misti, rimane evidentemente dimostrato che alla Chiesa compete l'infallibilità in tutto quello che concerne i medesimi fatti.

§ II. e § III.

Abbiamo accennato che il privilegio dell'infallibilità deve pure estendersi alla condanna di qualche proposizione, non come ereticale, ma in qualunque modo alla fede o alla Chiesa nociva, cioè come erronea, prossima all'eresia, falsa, scandalosa, temeraria, oltraggiosa, ovvero ingiuriosa alla potestà della Chiesa, favoreggiatrice degli eretici, derogatrice ed offensiva dell'autorità della medesima Chiesa, o dei Sommi Pontefici, ec. ec.
Parimenti abbiamo affermato la medesima infallibilità della Chiesa nel dichiarare le verità, le quali, benchè principalmente e nella materia prossima non siano teologiche, ma filosofiche, politiche, sociali, istoriche ec., pure talmente si connettono colle verità rivelate, e colla professione cristiana, che la loro dichiarazione è spesso utile o necessaria. Questa dichiarazione può farsi, come in tutte le altre, sia con esporre la verità, sia con condannare l'errore opposto.
I nostri lettori han potuto accorgersi che tutto, o quasi tutto quello che abbiamo dimostrato finora, de' fatti così detti misti, o dommatici, vale anche a convincerci della infallibilità della Chiesa nelle altre materie che poc'anzi esponemmo nei §§ II, e III.: anzi con maggior ragione, perchè più strettamente connesse col deposito della fede, colla regola de' costumi, e colla indefettibilità e santità di tutta la Chiesa.
Per fermo la Chiesa è certamente vindice e tutrice della verità, ed a lei è dato da Gesù Cristo l'incarico di custodire gelosamente il deposito della fede. Or l'uomo si può allontanare dalla verità interamente, professando l'errore con una aperta eresia; e può allontanarsene anche insegnando o favoreggiando tali teoriche, le quali, se non sono direttamente ereticali, lo sono però mediatamente o indirettamente; ovvero sono atte a corrompere e macchiare il deposito della rivelazione. Che si direbbe di colui, il quale avendo la missione di impedire che altri beva un velenoso liquore, gli vietasse solo di tracannarlo a lunghi sorsi, ma poi chiudesse un occhio, e gli permettesse di usarne in tale quantità, che se non gli cagiona subito la morte, basta però per recargli danni più o meno sensibili? Di che si vede, non esser sufficiente che la Chiesa sia infallibile soltanto nelle cose riguardanti la fede o i costumi, ma esser necessario che lo sia altresì nella censura delle proposizioni più sopra accennate. E perchè altro l'Apostolo insegna, essere stati posti nella Chiesa pastori e dottori, se non per impedire che noi
siamo portati quà e là da ogni vento di dottrina, per raggiri degli uomini, e per le astuzie onde seduce l'errore [21]? Ed è appunto astuzia onde seduce l'errore una proposizione, che non sia precisamente ereticale, ma erronea, temeraria, offensiva delle pie orecchie ec. Altre chiarissime testimonianze bibliche potremmo aggiungere per meglio confortare questa verità, ma ce ne passiamo, e per non ripetere quello che abbiamo già detto, e perchè non dobbiamo dimenticare, che scriviamo un opuscolo, e non una lunga trattazione. Ci riputiamo però in debito di osservare che la Chiesa ha fatto uso di tale sua prerogativa, a cominciare dal Concilio di Costanza, nel quale dopo maturo esame furono condannati parecchi articoli di Giovanni Wicleffo, e di Giovanni Hus, con apporsi alle medesime, rispettivamente, le note di erronee, scandalose, blasfeme ec.
Dicasi altrettanto dell'infallibilità della Chiesa nel dichiarare le verità, le quali benchè principalmente, e nella materia prossima non siano teologiche, ma filosofiche, politiche ec., pure talmente si connettono colle verità rivelate, che la loro dichiarazione è spesso utile o necessaria. Di fatto, se la Chiesa non avesse tale prerogativa, le riuscirebbe pressochè impossibile tutelare il deposito della rivelazione, e sarebbe lo stesso per lei, che aver l'obbligo di custodire un edificio e non lasciarlo crollare, dovendo intanto permettere, che progressivamente le vengano tolte di sotto le fondamenta e le basi.

§ IV.


L'infallibilità della Chiesa si estende altresì nello stabilimento della disciplina universale.
La disciplina ecclesiastica è la legge stabilita dalla Chiesa pei fedeli, intorno alle cose da praticarsi. Essa verte intorno al culto esterno cattolico, alla santità dei costumi, ed a quant'altro può riguardare la tutela della nostra santissima religione.
Se di fatto la Chiesa non può errare nelle cose riguardanti la fede e i costumi, essa per conseguente nel governo de' fedeli nulla può stabilire, che si opponga alla prima ed ai secondi. Altrimenti tutta l'unione dei fedeli sarebbe indotta in errore, per le leggi di disciplina universale, che si sarebbero prescritte dalla detta Chiesa, le quali, supposta la sua fallibilità, potrebbero essere non buone; lo che è un assurdo, come contrario all'indefettibilità e santità della medesima Chiesa: onde sant'Agostino diceva: Quod tota facit Ecclesia, id, an sit faciendum, disputare, insolentissimae insaniae est [22]. Così, per esempio, la Chiesa con legge di disciplina universale ha prescritto la comunione dei semplici fedeli, sotto una sola specie, insegnando che in essa vi è Gesù Cristo, non dissimilmente dal modo onde egli è sotto amendue le speci. Ora chi mai oserebbe affermare, che in questo precetto di disciplina universale la Chiesa non sia stata infallibile? Dicasi altrettanto di altri casi di disciplina universale. Che se talvolta la Chiesa nella materia di disciplina universale variabile reca qualche modificazione, ciò non lo fa perchè precedentemente erasi ingannata, ma perchè le mutate circostanze ne esigevano un cangiamento. Quindi la detta variazione non osta alla sua infallibilità, sia quando primitivamente stabilì quella legge disciplinare universale, sia quando posteriormente, per giuste ragioni, giudicò di derogarvi o modificarla. Anzi per l'ordinario mutasi in qualche punto la universale disciplina, per meglio tutelare la purezza del dogma, oscurato dalle dottrine degli eretici. Valgano per esempio le variate leggi disciplinari intorno all'uso del calice, nonchè relativamente all'unica o trina immersione nell'amministrazione del Battesimo ecc. [23].

§ V.

Deve ritenersi eziandio infallibile la Chiesa nel giudizio intorno alla canonizzazione de' beati.
La Chiesa nell'annoverare un beato tra i Santi, gli decreta un culto, il quale è medio tra quello di latria, dovuto solamente a Dio, e quello che dicesi civile. Questo culto dovuto ai santi dicesi dai teologi culto di dulia, a differenza di quello più nobile che si rende alla Madre di Dio Maria SS., che chiamasi di iperdulia. Or se la Chiesa potesse ingannarsi nel giudizio della canonizzazione, essa correrebbe rischio di fare onorare solennemente da tutti i fedeli come santo, e regnante con Dio nella gloria, uno il quale potrebb'essere reprobo, e trovarsi nell'inferno. Ora nè la Chiesa intera discente può essere indotta in errore circa cose riguardanti il culto, nè la Chiesa docente può andar soggetta all'inconveniente di prescrivere un tal culto a chi non lo merita, dichiarando all'universalità de' fedeli come modello di virtù da imitarsi, e come protettore in cielo uno, il quale per le sue colpe avesse meritato di esser dannato coi reprobi. O dunque la Chiesa dev'essere infallibile nella canonizzazione de' beati, ovvero altrimenti le porte dell'inferno sarebbero prevalenti contro di lei. Di che non è a dubitarsi, che Dio in tale giudizio assista la sua Chiesa, secondo la promessa fattale, e non permetta che ella cada in errore. Di qui è ancora, che Iddio stesso interviene anche coi miracoli, da lui operati alla invocazione di quel servo di Dio già uscito da questa vita, per assicurarne la santità. È vero che codesti miracoli sono deposti da testimoni, i quali potrebbero errare, ovvero anche maliziosamente ingannare. Ma dapprima la Chiesa non richiede un solo, ma più miracoli, per procedere alla canonizzazione; nè si appoggia alla testimonianza di un testimonio per ammetterli , ma ne richiede molti, ed usa tutte le più minute e possibili diligenze per assicurarsene. In secondo luogo Dio non permette giammai che tutti codesti testimoni errassero, o mentissero nel deporre di tali miracoli, perchè il loro errore o la loro menzogna riuscirebbe sommamente pregiudizievole alla Chiesa, come osserva l'immortale Pontefice Benedetto XIV [24]. E per conseguente il giudizio sulla canonizzazione essendo diretto dallo Spirito Santo, se anche tutti i testimoni mentissero, la Chiesa per la sua divina assistenza deve ritenersi, che non ammetterebbe la loro testimonianza.

§ VI.

Da ultimo la Chiesa gode pure della prerogativa dell'infallibilità nell'approvazione degli Ordini religiosi.
Un Ordine religioso è uno stato di uomini i quali tendono alla perfezione cristiana, per mezzo dei tre voti di castità, povertà, ed ubbidienza, e delle regole approvate dalla Chiesa pel proprio istituto. A promuovere codesta perfezione giova sommamente lo stato religioso, mercè del quale l'uomo consacra tutto sè stesso a Dio, cioè l'anima per mezzo del voto di ubbidienza, il corpo mercè del voto di castità, ed il possesso delle cose esterne mediante il voto di povertà.
La Chiesa quando approva un ordine religioso, altro non fa che dichiarare, che esso non solo nulla contenga che sia opposto ai precetti e ai consigli evangelici; ma che anzi ne promuove l'osservanza. Ora essa in ciò non può ingannarsi, perchè, siccome abbiamo già dimostrato, a lei spetta esporre e stabilire le regole dei costumi in conformità della Scrittura e della tradizione. Se per poco la Chiesa potesse in questa parte ingannarsi, essa correrebbe rischio di additare come via sicura, non solo per giungere al cielo, ma per aspirarvi con perfezione, quella che tale non sarebbe. Ora ciò riuscirebbe non solo a detrimento e rovina spirituale de' fedeli, i quali invece di trovar nella Chiesa una maestra di verità, troverebbero una guida menzognera e seduttrice; ma riuscirebbe eziandio a discredito della dottrina evangelica, ed a somma ignominia della Chiesa medesima.
Dopo di avere sviluppate le materie nelle quali il giudizio della Chiesa è infallibile, con quella parsimonia di pruove, che è richiesta dalla natura di un opuscolo, ma nel tempo stesso con chiarezza e precisione; ci rimane solo da aggiungere che quando la Chiesa ha pronunziato sopra alcuna delle descritte materie, i semplici fedeli debbono essere convinti, che quella maestra di verità nulla ha omesso di ciò che doveva tener presente, e quindi le si deve cieca ed illimitata sommissione: altrimenti ne seguirebbero gli assurdi, che la Chiesa stessa, la quale ci è stata data come guida sicura ed inerrante, potesse trascinare in errore; ed oltre a ciò, che i discepoli dovrebbero giudicare della maestra, ed i figli della madre. Per quello poi che riguarda i Concilii ecumenici, dei quali ci stiamo occupando, diciamo che le loro decisioni, se riguardano la fede e i costumi, al dire dei Padri, debbono tenersi nella stessa venerazione che i quattro Evangeli; e se trattasi di canoni di disciplina, o dei fatti dommatici, ed altre materie delle quali abbiamo non ha guari trattato, debbono sempre ritenersi, per usare la frase di sant'Agostino, come ultimum Ecclesiae iudicium; e quindi sono infallibili [25].
Prima di chiudere questo capitolo, non sarà inopportuno toccare leggermente la controversia, se mai una verità già definita dal Romano Pontefice come dogma di fede, possa di nuovo essere esaminata e definita in un Concilio ecumenico [26]. A prima vista sembra che no; perchè il giudicare sulla materia, dalla quale il Romano Pontefice già ha pronunziato il suo infallibile giudizio, importerebbe la libertà di poter dissentire da lui; ed allora ne seguirebbero molti assurdi. Però, meglio considerata la quistione, rimane evidente e chiaro, che ciò possa farsi. Di fatto alla vera ragione di giudizio non si richiede altro, se non di poter pronunziare una sentenza, dietro cognizione di causa: ex causae cognitione sententiam pronunciare, hoc ad rationem iudicii requiritur. Ora niuna cosa impedisce, che i giudici della fede possano di nuovo conoscere una causa già giudicata, per poter dare alla medesima, con una sentenza conciliare ecumenica, una maggiore solennità al cospetto dei fedeli. Nè poi la libertà, della quale gli stessi giudici debbono godere, importa il poter distruggere ciò che con infallibile autorità si è stabilito; con ciò sia che il potersi allontanare dalla verità non è libertà, ma abuso di essa. E qui non sarà inopportuno di aggiungere, col dotto Cardinale Orsi [27], che deve distinguersi una doppia inquisizione intorno alle cose di fede: la prima è quella che s'istituisce per conoscere la verità, la quale sia tuttora nascosta; l'altra dirigesi allo scopo, che a quella verità già conosciuta, e per così dire, cavata dalle tenebre, aggiungansi nuovi splendori. O, per dirla più chiaramente: il primo esame si fa affinchè la cosa dubbia diventi certa; e questo esame è necessario: il secondo poi, affinchè la cosa già certa diventi più certa; e questo esame è utile; anzi talvolta in certo modo necessario, per veder di far rinsavire i ribelli e i contumaci. Il lodato Porporato, a dimostrazione della sua tesi, reca in mezzo l'esempio di San Leone Papa, e concilia l'apparente opposizione delle sue parole quando tratta la quistione dell'eresia di Eutiche. Quel santo Pontefice dice, che il concilio non è necessario per condannare la detta eresia; ed in ciò dire accenna al primo genere d'inquisizione: mentre era sufficiente l'autorità di lui, colla quale già avea condannata quella eresia. Soggiunge poi che l'effetto di un Concilio generale è appunto, di abolire l'errore con un giudizio più pieno (pleniore iudicio); e con ciò accenna, come ciascuno può vedere, al secondo genere d'inquisizione e di esame. Rimane dunque chiaro, che se, a maniera di esempio , la Chiesa giudica opportuno di definire conciliarmente il dogma già stabilito, sull'immacolato concepimento della Vergine, o altra verità, sulla quale il Papa abbia già infallibilmente pronunziato, il potrebbe senza dubbio. Nella storia noi troviamo esempii, i quali appoggiano la nostra tesi; e sappiamo che gli errori di Eutiche, già condannati dal solo Romano Pontefice, furono esaminati di nuovo nel Concilio di Calcedonia, e di bel nuovo condannati. Oltre a ciò nello stesso primitivo Concilio di Gerusalemme non troviamo forse, che l'adunanza degli Apostoli giudicò sopra quello, di cui il loro principe san Pietro già aveva poco prima pronunziato il giudizio suo, innanzi che tutti gli altri parlassero [28]?

NOTE:

[1] Matth. cap. 18 e 20.
[2] Vedi Bellarmino. Controv. tom. 2, lib. 2 cap. 2.
[3] Cap. 16, vers. 13.
[4] Act. cap. 15, v. 28.
[5] Matth. cap. 16, v. 18.
[6] Matth. cap. 28, v. 20.
[7] I. Timoth. cap. 3, v. 15.
[8] Cap. 22, v. 32.
[9] Luc. 10.
[10] Matth. cap. ult.
[11] Hebr. cap. 11, v. 6.
[12] Jacob. I, cap. 20, v. 26.
[13] Vedi il nostro opuscolo ultimamente pubblicato nel periodico napoletano, intitolato: la Scienza e la Fede, nei quaderni 434 e 435.
[14] Sopra questo argomento si può leggere la classica opera, intitolata: Fatti dommatici, ossia della infallibilità della Chiesa nel decidere sulla dottrina buona o cattiva dei libri, di Gianvincenzo Bolgeni, volumi due. Brescia 1788, dalle stampe Bossini.
[15] Io. cap. 21, v. 15.
[16] Ad Ephes. cap. 4, v. 11.
[17] Act. cap. 20, v. 28.
[18] 2. Ad Thimoth. cap. 4, v. 3.
[19] 1. Ad Thimoth. cap. 6, v. 20.
[20] 2. Ad Thimoth. cap. 1, v. 13.
[21] Ad Ephes. Cap. 4, v. 14.
[22] Epist. LIV, alias CXVIII.
[23] Vedi Bolgeni, sui fatti dommatici ecc.
[24] Quidquid ex materiae ac testium qualitate pro fallibilitate desumitur, plene submovetur ex divina providentia, et Spiritus Sancti praesentia; quae in re tanti momenti errare, atque errori suae pondus auctoritatis adiungere non patietur. De Canonis. lib. I, cap. 44.
[25]  Epist. 162.
[26] Vedi il trattato de' Fratelli Ballerini: De vi ac ratione primatus Romanorum Pontificum — de potestate Ecclesiastica Summor. Pontif. ac Conciliorum generalium cap . II, § I. Num Romani Pontificis definitio, si praecessit ipsum Concilium generale, cogat Patres Concilii, ita ut non possint ab ipsa dissentire etc.
[27] De irreformabili Romani Pontificis in definiendis fidei controversiis iudicio, Tom. I. part. I. lib. I. cap. 15 art. 3.
[28] Act. cap. 15, v. 7.

L’editto di Milano tra verità storica e politicamente corretto

2009-04-13_ConstantineTheGreat_York
 
In questo periodo si è sentito parlare sulle principali testate nostrane del famoso Editto di Milano del 313 d. C., nel quale l’Imperatore romano Costantino I garantiva la libertà di culto ai cristiani, a causa dell’anniversario di tale evento che ricorrerà tra breve. Esso viene definito da più come “l’editto della tolleranza”, che avrebbe da un lato posto fine alla persecuzione dei cristiani da parte delle autorità romane e dall’altro sancito la neutralità dello stato nei confronti della religione. Ma fu veramente così?
Per poter rispondere a questo quesito occorre considerare una serie di coordinate storico-politiche dell’epoca: l’Editto di Milano fu promulgato all’indomani della battaglia di Ponte Milvio (29 ottobre 312), nella quale l’esercito di Costantino sconfisse le armate di Massenzio divendo quindi incontestato Imperatore dell’Impero Romano. La peculiarità di tale editto non fu tanto la proclamazione della tolleranza religiosa, in quanto essa è sempre stata comune nella legislatura romana, ma piuttosto la mancata evocazione degli dèi tradizionali in favore del Dio cristiano, e l’implicita rinuncia da parte sua al titolo e alle funzioni di “Pontifex Maximus”, delle quali invece si insignivano i suoi predecessori, abbandonando di conseguenza il monopolio religioso. Con esso inoltre veniva ordinata la restituzione alla Chiesa dei beni confiscati. Date queste coordinate, sembrerebbe che Costantino I si limitò a sancire l’uguaglianza giuridica tra la religione pagana e la Religione Cristiana, dando ragione a coloro che vedono in lui il precursore delle dottrine liberali dello stato laico e neutrale nei confronti della religione. Ma approfondendo numerosi suoi atti giuridici successivi al 313, si scoprirà che la sua politica aveva ben altri scopi: con diversi atti legislativi consentì alle chiese il diritto di ricevere beni in eredità, fece costruire basiliche a Gerusalemme, Roma e Costantinopoli, esse furono inoltre dotate di vaste proprietà, fu concesso ai vescovi l’episcopalis audientia e lui stesso fece un’ingente donazione (la ben nota Donazione di Costantino) alla Chiesa di Roma. Ma non si limitò a questo, la sua legislazione in materia religiosa fu volta anche allo scoraggiamento, alla disincentivazione e soprattutto alla repressione della religione pagana, nonostante non vi fu de facto una legge per motivi di prudenza (buona parte della popolazione dell’Impero non era ancora convertita). Vennero proibiti i combattimenti tra gladiatori nelle arene (uso barbaro molto amato dai pagani e fortemente condannato dai cristiani), venne inoltre limitata, a causa di un disprezzo personale dell’Imperatore, la divinazione sulle interiora di animali sacrificati sia sul piano pubblico che privato. Successivamente Costantino emanò una legge che ordinò la chiusura dei templi pagani più prestigiosi, di quelli dediti alla prostituzione sacra e di quelli situati in città nelle quali vi erano stati episodi di violenza contro i cristiani. Va detto che per motivi di prudenza politica la legge che prevedeva la chiusura dei luoghi di culto pagani e la confisca dei beni ad essi legati fu poco applicata per ragioni legate alla prudenza politica, ma nonostante ciò tali decreti mettono ben in luce l’ottica religiosa di Costantino e la sua politica favorevole allo sviluppo del Cristianesimo nei territori romani.
Altro importante aspetto che va a smentire le tesi che vedono tale Imperatore come un teorico dello stato laico ante litteram fu l’introduzione nella legislatura romana del concetto di eresia: egli infatti, con il Concilio di Arles (314) e di Nicea (325) fece condannare anche sul piano giuridico l’ eresia donatista e ariana, promuovendo interventi armati contro di esse. Va fatto notare un fattore dalla straordinaria importanza: il concetto di eresia prima di Costantino era inconcepibile per i romani, i quali avevano sempre ammesso le divinità dei popoli sottomessi al loro immenso Pantheon religioso.
Tirando le somme, possiamo dire che l’Editto di Milano non venne promulgato per garantire la libertà religiosa nell’Impero Romano (essa era sempre stata presente per tutte le religioni esclusa quella cristiana), ma per assicurare la libertà dei cristiani di professare e diffondere la loro Fede, da lui stesso riconosciuta come l’unica vera. Non la fece diventare religione di stato per questioni di prudenza (una vasta fetta di popolazione era ancora legata al paganesimo, nonostante il sempre maggior numero di convertiti anche nelle alte sfere statali), ma è innegabile che a Milano nel 313 venne emanato un’editto per difendere e propagare la Fede cristiana, che troverà la sua continuità storico-politica non nella dottrina liberale del laicismo e dello stato neutrale, ma bensì nell’Editto di Tessalonica (27 febbraio 380) dell’Imperatore Teodosio I.
 
 a cura di Federico
 
Fonte: La Tradizione Cattolica, anno XXIII – n° 4 – 2012


Fonte:

http://radiospada.org/

[DA LEGGERE] Rita Levi Montalcini: fu vera gloria?

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In queste ultime ore il circo viaggiante dell’informazione dell’Italietta in declino si dedica ad uno dei suoi sport favoriti: la celebrazione delle “glorie patrie”, la creazione di “modelli civici”, l’incensazione degli idoli del politicamente corretto.
Fatta salva esclusivamente la pietas, l'Associazione legittimista Trono e Altare , come Radio Spada, non si associa alle entusiastiche celebrazioni della memoria della senatrice Rita Levi Montalcini ma accentua la sua estraneità, la sua apolitia intellettuale e morale rispetto all’ “Italia legale”, offrendo ai suoi lettori qualche strumento di approfondimento, una pietanza alternativa al pastone del conformismo benpensante. Buona lettura.
 
http://politicamolecolare.blogspot.it/2007/11/rita-levi-di-montalcini-e-i.html


Fonte:

http://radiospada.org/

Messa in suffragio di S.M. Francesco II




Su iniziativa del Movimento Neoborbonico, dell’Editoriale Il Giglio e della Delegazione campana dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, giovedì 27 dicembre si è tenuta a Napoli, nella Chiesa di San Ferdinando di Palazzo, la SS. Messa in suffragio dell’Anima Santa di Francesco II di Borbone, ultimo Re delle Due Sicilie, nell’anniversario della sua morte avvenuta il 27 dicembre 1894.

La SS. Messa, in rito romano antico, è stata celebrata dal Rettore di San Ferdinando, Don Pasquale Silvestri, che, all’omelia, ha ricordato le virtù cristiane e umane dell’ultimo Re di Napoli.

Presente una moltitudine di amici e compatrioti, quindi i vertici ed alcuni delegati territoriali del Movimento, nonché i responsabili dell’Editoriale Il Giglio, la dott.ssa Marina Carrese ed il dott. Maurizio Dente, i Cavalieri del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio guidati dal marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli, Delegato di Napoli del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. 

Presente il Cav. Marco Crisconio Vicepriore dell’Arciconfraternita di San Ferdinando di Palazzo (il Priore è S.A.R. Carlo di Borbone).

Ad aprire la celebrazione è stato il marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli che ha letto una breve allocuzione ed il messaggio inviato dal S.A.R. il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie. 

Al termine della SS. Messa il Coordinatore Nazionale del Movimento Neoborbonico, il Cav. Alessandro Romano, ha ricordato questo grande Sovrano, quale esempio di Re illuminato dalla grazia di Dio, discendente di una nobile Dinastia che tanto ha fatto per la grandezza di una Nazione e per la dignità di un Popolo.

Ha presenziato la celebrazione un Picchetto, con Bandiera a Labaro, della Guardia d’Onore dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidati dal Dott. Luigi Andreozzi.

A conclusione della cerimonia, il soprano Ellida Basso, accompagnata all’organo dal maestro Giuseppe D’Errico, ha cantato l'Inno Nazionale delle Due Sicilie in un’atmosfera di profonda partecipazione e di forte commozione.

Nel   seguente video potrete vedere alcune riprese della cerimonia



 




Si ringraziano tutti coloro che, nonostante impegni e distanze, hanno partecipato rispondendo al nostro appello. Il prossimo appuntamento con la Patria sarà a Gaeta il 15, 16 e 17 febbraio 2013.





 Le immagini della celebrazione



 (sono di Francesco ed Amedeo Andreozzi)


















Fonte: