venerdì 2 dicembre 2011

Ciro Menotti: Da Duchista a terrorista.


 Ciro Menotti.


Ciro Menotti (Carpi, 22 gennaio 1798Modena, 26 maggio 1831[1]) , per la storiografia ufficiale descritto come una figura di rivoluzionario impavido e di eroe romantico(cosa che vedremo bene non era), sarebbe diventato nella coscienza dei terroristi e sovversivi italiani dell'Ottocento un grande patriota:  anche l'"iperitaliano" Giuseppe Garibaldi volle usare il suo cognome come nome per il proprio figlio primogenito. In questo senso fin dalle prime classi delle scuole si parla del suo fantomatico sacrificio e si legge la sua lettera alla moglie piena di buoni sentimenti e amor patrio(una marea di nauseanti farneticazioni degne di un folle).

La storiella che vede protagonista il "povero" Ciro Menotti tradito dal Duca di Modena Francesco IV° D'Asburgo-Este la conosciamo ormai tutti bene o male, ma come la "buona" retorica risorgimentale ci ha insegnato fino a ora si tratta dell'ennesima leggenda messa in piedi ad arte per screditare i veri buoni , osannando i veri cattivi.Ho voluto distinguere i "veri buoni" dai "veri cattivi" perché oggettivamente o si agisce per una buona causa , che garantisce reali e concreti guadagni per tutti, oppure si agisce guidati da folli idee che portano al guadagno di pochissimi e allo sconvolgimento e alla miseria di molti.Ma allora qual'è la vera storia di Ciro Menotti , e il conteso in cui gli eventi si svolsero?, ve la racconterò così come fu:


Francesco IV° D'Asburgo-Este e Maria Beatrice di Savoia.
Quando Francesco IV° D'Asburgo-Este e Maria Beatrice di Savoia il 15 Luglio 1814 avevano fatto il loro ingresso trionfale in Modena , fra la folla osannante c'era anche un ragazzo di sedici anni , già convinto Duchista e poco dopo Tenente della Guardia Urbana Estense.Il suo nome era appunto Ciro Menotti . Ricordava Giuseppe Bayard De Volo, direttore del quotidiano Modenese "Il diritto Cattolico": "Al ristaurarsi della dinastia Estense non esitò egli di aderirvi con entusiasmo , a tal chè fu notato tra quelli che al giungere in Modena del Duca Francesco IV° ne staccarono i cavalli e trassero il cocchio alla Reggia".
Nato nel 1798 a Migliarina di Carpi da una famiglia di imprenditori , Ciro in età adulta divenne a sua volta imprenditore di successo e la brillante posizione economica raggiunta gli consentì l'accesso ai più prestigiosi salotti dell'Aristocrazia e ben presto alla stessa Corte. Continuò ad essere convinto sostenitore della politica Ducale fino al 1821, quando, per questioni di affari , ebbe l'occasione di entrare in contatto con Antonio Lugli , vecchio Giacobino del 96, fanatico rivoluzionario e convinto Repubblicano. Fra i due si instaurò da subito una cordiale amicizia, fatta soprattuto di accese discussioni politiche. I frequenti scambi di opinioni con Antonio Lugli finirono però poi per influenzare il giovane Ciro, che infine si ritrovò liberale convinto e clandestino membro della Carboneria.
Nel 1835 Antonio Lugli finì in carcere , inquisito per la sua appartenenza alla Giovine Italia di Mazzini e nei manoscritti che gli vennero sequestrati furono ritrovati appunti sulle sue idee politiche , perfetto specchio dell'illuminismo ateo e sovversivo che alimentava le rivoluzioni di quei decenni:"Il solo sistema che possa preservare le Nazioni dalli due estremi, del dispotismo e dell'anarchia, è un sistema fondato sopra la ragione sola umana senza alcun rapporto con Dio...".

Ciro Menotti  era invece era stato arrestato già nel 1821 per avere divulgato, fra i soldati Ungheresi di passaggio a Modena diretti a reprimere una rivolta scoppiata nel Regno delle Due Sicilie, il proclama Latino in cui li si invitava ad astenersi dal portare aiuto agli "oppressori".Negli anni successivi ebbe modo di stringere amicizia con l'avvocato Enrico Misley, regista della congiura Estense, e cominciò a dedicarsi con sempre maggiore fervore a quelle attività illegali, clandestine e rivoluzionarie che Francesco IV° aveva pubblicamente e ripetutamente condannato e per la pratica delle quali aveva con chiarezza indicato , quale unica adeguata pena, la condanna capitale.
Nonostante in apparenza fosse stato l'antico ordine , in realtà le idee sovversive della rivoluzione Francese si erano radicate in molti animi, avevano indebolito in modo inreversibile le Monarchie e la Chiesa e non sarebbero state cancellate mai più.Scriveva De Bonald nel 1817: "La Francia come trascinata da un furore sovrumano , ha inviato i suoi condottieri, i suoi soldati e i suoi principi alla lotta per l'estinzione di ogni verità, per il rovesciamento di ogni ordine, e minacciato l'universo civilizzato di un ritorno allo stato selvaggio. Il potere dell'anarchia è stato detronizzato, gli eserciti dell'ateismo non esistono più, ma gli esempi sopravvivono  ai successi e principi agli esempi.Una generazione è stata educata nell'odio per il potere e nell'ignoranza dei doveri; essa trasmetterà ai tempi futuri la tradizione funesta di tanti errori accreditati , il ricordo contagioso di tanti crimini impuniti...". Francesco IV° ne era perfettamente consapevole e, da almeno un decennio , si adoperava nella stesura di disposizioni legislative in difesa dell'ordine interno e della pubblica sicurezza e, in particolare , nella repressione delle società segrete, organizzazioni sovversive capillarmente diffuse soprattutto in Italia e in Francia, ognuna con un proprio preciso scopo e uno specifico piano d'azione , in costante collegamento fra loro. La Carboneria ad esempio aveva il proprio centro a Reggio, manteneva stretti contatti con la Società dell'Italiana Emancipazione, aggregata al Comitato Rivoluzionario Cosmopolita di Parigi, e andava in quel periodo preparando una vasta ed organica insurrezione che, dal Ducato Estense, doveva propagarsi poi a Parma , a Piacenza  e nelle Legazioni Pontificie.Gli Adelfi lavoravano specificatamente per cambiare le forme di governo degli Stati Italiani, mentre i Sublimi Maestri Perfetti tenevano fin dal 1818 collegamenti con analoghe associazioni in Piemonte , a Bologna e a Parma.
Per cercare di contrastare l'esorbitante crescita di questi movimenti Francesco IV° il 21 Settembre 1820 aveva emanato un decreto che inaspriva le pene per i reati di lesa maestà in primo grado: chi fosse stato incriminato e riconosciuto colpevole di tale delitto doveva essere condannato alla pena di morte "non disgiunta dalla più rigorosa esemplarità secondo le circostanze di sì infamante delitto" e della confisca "dè beni di qualunque specie e natura". Il 14 Marzo 1821 il Duca aveva poi istituito il Tribunale Statario, una speciale Mgistratura competente in modo specifico a giudicare i delitti "gravemente perturbanti la pubblica sicurezza e tranquillità", punibili con la "apprensione alla forca". La sentenza emessa da un Tribunale Statario era considerata definitiva, tuttavia il condannato poteva chiederne una revisione davanti ad una sezione del Consiglio Supremo di Giustizia che , qualora avesse riconosciuto fondato il ricorso, avrebbe rimandato la sentenza ad un nuovo Tribunale Statario . La sentenza doveva poi essere ratificata personalmente dal Duca , che poteva eventualmente decidere di concedere la grazia.
La rivolta che costò, in base alle suddette leggi,  la vita a Ciro Menotti, era stata organizzata a Modena per il giorno 5 Febbraio 1831. Si pensava di irrompere a Palazzo , approfittando dell'esiguo numero di guardie che normalmente controllavano gli ingressi, costringere il Duca a concessioni, senza risparmiargli la vita qualora si fosse rifiutato , prendere in ostaggio la sua famiglia , quindi allargare l'insurrezione agli altri Stati. Ciro Menotti con una lettera informava Enrico Misley il 28 Gennaio:"...il movimento è immancabile e disposto tutto bene che non temo ormai più dell'esito, nè qui, nè in Romagna, nè in Toscana.Parma ci seguirà il giorno dopo. Io non dormo , non mangio. Sono in continuo moto. Insomma, Lunedì sarà prontò...".Il 3 Febbraio il Duca , venuto a conoscenza del piano grazie al suo fedele segretario Gaetano Gamorra che aveva intercettato una lettera scritta con l'inchiostro simpatico dallo stesso Menotti, fece arrestare il rivoluzionario Nicola Fabrizi, gesto che spinse i cospiratori adecidere di anticipare l'insurrezione a quella stessa notte. Nella sera del 3 Febbraio una cinquantina di rivoltosi si trovarono clandestinamente riuniti nella casa di Ciro Menotti, in Corso Canalgrande. Francesco IV° decise di intervenire guidando personalmente le truppe Estensi nella spedizione che avrebbe sgominato la rivolta.
Raggiunse Maria Beatrice nei suoi appartamenti per quello che avrebbepotuto essere un estremo saluto. Poichè il subbuglio era stato avvertito in tutto il Palazzo , Francesco IV° trovò negli appartamenti della Duchessa tutti coloro che erano andati a cercarvi rassicurazioni: i figli , le dame di corte, le domestiche. Con volto sereno per quanto concesso dalle circostanze e tono mesto ma speranzoso, ella cercava di portare conforto. Porgendo al consorte una reliquia del Sacro Leggno  della Croce gli disse "questa ti salverà".
Tra il pianto delle dame, il rumore spaventoso degli spari, il timore che uno di quegli spari avrebbe potuto rendere vedova lei e orfani i suoi figli , Maria Beatrice pregava con il Rosario fra le mani, interrompendosi solo per portare quel poco di conforto che poteva ai tanti cuori spaventati di quella notta angosciante.
Nel frattempo , in casa Menotti si sentiva bussare alla porta: era il Duca in persona, accompagnato da Cesare Galvani , dal Principe di Canosa, dagli ufficiali Sterpin, Coronini, Stanzani e Guicciardi, e da alcuni soldati. Fu proprio il Duca a gridare dalla strada , dopo avere ordinato ai suoi uomini di cessare il fuoco:" Sono Francesco quarto Sovrano, arrendetevi e potrete sperare. Ma se resistete sarete uccisi dai miei soldati". Seguì una pausa di silenzio che sembrava preludere alla resa, ma poi la porta di casa Menotti si aprì e l'unica risposta che i visitatori poco graditi ricevettero fu una nutrita fucileria , che costò la vita a due soldati, un Dragone e un Pioniere. Francesco IV° ordinò di circondare la casa e di far avanzare un cannone che , con soli due colpi , decise le sorti del tafferugglio. Ciro Menotti cercò di fuggire dal tetto calandosi con una fune , ma venne lievemente  ferito ad una spalla e catturato dal Maresciallo Pioppi.



Le conseguenze della Congiura Estense si  estesero  a tutto il Ducato e la Famiglia Reale non potè più considerarsi al sicuro . Francesco IV° aveva già provveduto a chiedere al Taresciallo Frimont rinforzi dalla Lombardia, ma non gli erano stati accordati , dal momento che, in quegli stessi giorni, si temevano sollevazioni anche nel Lombardo-Veneto, così decise di porre in salvo la propria famiglia con un temporaneo trasferimento nella vicina Mantova e , nella notte fra il 6 e il 7 Febbraio 1831, venne organizzata la partenza.
Il Duca procedeva a cavallo al fianco della carozza dove viaggiavano Maria Beatrice e i figli, seguiti dalla corte. Con i Sovrani partivano Cesare Galvani, il Principe di Canosa, il Conte Riccini , il Marchese Filippo Molza, ministr delle Finanze, Gaetano Gamorra, segretario del Gabinetto Ducale, in un triste convoglio di circa venti cocchi che procedeva a passo lento, nell'oscurità , preceduto e seguito da due guardie armate. Erano le nove di una sera fredda e uggiosa. Una minuta pioggia mista a nevischio aggiungeva freddo al freddo dei cuori che lasciavano Modena. Nessuna stella a rischiarirli. Ciro Menotti, ammanttato , viaggiava al seguito della Corte, su un piccolo calesse, mezzo coperto , tirato da un cavallo. Giunto a Mantova sarebbe stato rinchiuso nel carcere di San Sebastiano, poi nelle prigioni del castello di San Giorgio.
Monsignor Giuseppe Baraldi , schieratosi apertamente a fianco del Duca in sieme agli altri collaboratori delle Memorie di Religione , Morale e Letteratura, ebbe problemi a Modena: dovette sospendere la pubblicazione della rivista e abbandonare la città , pubblicamente accusato di Sanfedismo. Nella notte tra il 23 e il 24 Febbraio raggiunse Firenze dove fu ospitato da Monsignor Giovanni Fortunato Zamboni.
Narra il Sacerdote Severino Fabriani: "Le massime tristissime d'irreligione e d'immoralità diffuse in mille libri d'insegnamento e di diritto, producevano finalmente quell'amarissimo frutto, che da lunga stagione i saggi, o non ascoltati o non creduti, andavano preannunziando. L'Europa intera minacciata si vedeva di què terribili sconvolgimenti che lasciano eredi d'inconsolabile pianto e d'interminabili sciagure tanto i cittadini pacifici, quanto i miserissimi autori delle rivoluzioni:  e già in molte parti il tadimento, l'assassinio , la ribellione e la guerra civile flagellavano i popoli. Ahi che purtroppo lo spirito nequissimo della rivolta portò pure in questa diletta nostra Patria la desolazione ed il lutto! Io non asacerberò una piaga profonda dell'animo dicendo nè di quella orrenda notte(3 al 4 Febbraio 1831) che destinata era all'eseguimento dell'iniquo attentato, nè di quell'infausto giorno (5 detto)in cui questa città rimaneva priva della presenza dell'ottimo suo Principe e Padre" e aggiunge come Monsignor Baraldi, pur essendosi ritirato ad una vita strettamente privata fatta di solo studio e preghiera fu costretto a lasciare la città: "Nella notte dal 22 al 23 cartelli di morte affissi vennero alle porte di parecchi innocenti cittadini che vivevano unicamente intesi allo studio, all'orazione ed alle cure di una vita individuale , quasi fossero essi macchinaori di turbolenza; e nell'altra poi ancora più trista una turba furiosamente scorrente la città fu udita con dolore estremo e fremito di tutti i buoni , gridare morte, morte al Baraldi. Infelici!Non conoscevano essi cui perseguissero, e rinnovavan così la fatale imprecazione degli sciagurati sopra l'uomo giusto...Il giorno seguente accompagnato da un amoroso discepolo, il dott. Annibale Vandelli, che la sera innanzi con sollcita e dolorosa cura avvisato lo  aveva dell'istante pricolo, partiva Giuseppe da questa città, che con indignazione e dolore mirava l'ingrata mercede resa ad un tanto suo figlio , il quale sopra i suoi persecutori rinnovava frattempo la preghiera di Gesù in Croce".

Francesco IV° intanto si recò a Vienna per chiedere rinforzi direttamente all'Imperatore Francesco I° e il mese successivo potè rientrare in Italia alla testa di una divisione ditruppe Imperiali. Il 2 Marzo dal castello del Catajo pubblicava un proclama per annunciare che sarebbe rientrato nei suoi Stati "coll'aiuto di Dio in mezzo alle fedeli sue truppe, sostenute da quelle che S.M. l'Imperatore, augusto capo della sua famiglia, aveva mandato in suo soccorso". Dichiarava nulli gli atti del governo usurpatore e faceva appello all'attaccamento e alla fedeltà dei suoi amati suditti.
Il 9 Marzo 1831 faceva il suo ingresso nella capitale Estense, accolto da universale entusiasmo. Lo accompagnava ancora il Principe di Canosa che, per la fedeltà dimostrata durante i moti e per il notevole contributo dato nello sventarli, fu nominato Consigliere privato del Duca.
Il 23 Aprile il Tenete Stanzani ricondusse a Modena Ciro Menotti che venne chiuso nelle carceri dell'Ergastolo. Quella sera stessa egli tentò il suicidio con una dose di veleno che teneva nascosta nella fodera del berretto , ma fu scoperto dal custode Bosselli e riuscì ad assumere solo una piccola quantità, quindi fu colto da accessi maniaci seguiti da assopimento, fu sottoposto a una visita medica , ma sopravvisse e dovette affrontare il processo. Il 9 Maggio 1831, il Tribunale Statario militare condannava Ciro Menotti alla morte sulla forca, con l'accusa di macchinazioni in unione con i rifugiati del comitato Italiano in Francia. Dal Catajo , il giorno 21 dello stesso mese , il Duca apponeva la sua firma di approvazione della sentenza, che venne eseguita la mattina del 26, mediante impiccagione nella fortezza della Cittadella. Insieme a Ciro Menotti moriva Vincenzo Borelli , il notaio che il 9 Febbraio 1831, dopo la partenza del Duca , na aveva vergato l'atto di decadenza , nominando un  dittatore , nella persona di Biagio Nardi.
Francesco IV° scrisse al presidente del Tribunale Statario Pier Ercole Zerbini una lettera contenente le istruzioni per la confisca dei beni dei condannati, prevista dalla legge, ma condotta dal sovrano con indubbia clemenza: "Considerando che l'uno(Borelli, nda) lasciò una vedova e l'altro(Menotti, nda) una vedova con figlie volendo noi provvedere al mantenimento sufficiente delle vedove ed all'educazione dei figli vogliamo che dalle sostanze confiscate venga prelevato quanto occorra a questo duplice oggetto e , ben lungi dal volere appropriarci di cosa alcuna della  confisca di questi due disgraziati a pro del nostro Erari, vogliamo che, pagate passività , l'avanzo sia impegnato in primo luogo al mantenimento delle vedove e al mantenimento e buona educazione dei figli , destinando tutto il rimanente ai poveri".

Immaginetta risorgimentalista raffigurande Ciro Menotti il giorno della sua esecuzione, si nota come sia stato fatto passare come il povero martire tradito e ucciso dal "tiranno", ma oggi come allora si sà che in realtà non era niente di tutto ciò.

Voglio aggiungere in merito alla congiura del Menotti che sarebbe fallita a causa del tradimento di Francesco IV° , vi esprimo la mia convinzione, maturata dopo molti studi sull'epoca e con l'esame degli archivi segreti austro-estensi conservati all'Archivio di Stato di Modena, che si tratti di una delle tante "leggende" costruite ad arte da coloro che alla fine furono i vincitori, e cioè i fautori dell'Italia unita.
A seguito della rivolta piemontese del 1821, Carlo Felice di Savoia, allora ospite a Modena di Francesco IV°, pensò di togliere a Carlo Alberto il diritto di succedergli al trono e passarlo a Francesco IV°, di ciò ne scrisse nel carteggio che, anche nei periodi successivi al suo ritorno a Torino, intrattenne con Francesco IV°. Fu Francesco IV° che insistette con Carlo Felice sulla necessità del perdono a Carlo Alberto e a lasciarlo erede al trono sabaudo. Commento quindi con un deciso scetticismo all'idea che rinunciando alle ambizioni di espansione del suo potere nel 1821, cambiasse poi a 180° la sua politica dieci anni dopo mettendosi in combutta con i Carbonari .Ulteriore documento a sostegno di questa ipotesi è la relazione del convegno dei capi di stato e di governo a Lubiana, nello stesso anno (1821) ove si decise la reazione ai moti Piemontesi e Napoletani.Venendo alle relazioni tra il duca e Menotti, i documenti esistenti portano ad una interpretazione degli stessi all'interesse che Francesco IV° nutriva per le innovazioni tecnologiche nell'economia (i Menotti erano imprenditori) e nel suo interesse a conoscere i piani dei carbonari per poterli prevenire e bloccare, tutto qua. L'idea del complotto con la protezione del duca fu espressa dal Misley parecchio tempo dopo i fatti(sembra che il Misley non fosse molto considerato nell'ambito della Carboneria e questa azione potrebbe essere stata un tentativo di recuperare credito ed ottenere aiuto nelle sua condizione di esiliato).
Concludo che i maggiori storici sugli eventi modenesi(Chiappini ed Amorth, innanzitutto) non credono per niente al complotto così come fu riportato dalla propaganda risorgimentale; restano poi i carteggi tra Francesco IV° e Carlo Felice e quello tra Francesco IV° e Carlo Alberto quali testimonianze della mancanza assoluta del duca di Modena di mire espansionistiche ai danni del Piemonte.


Ennesima immagine di propaganda risorgimentalista raffigurante Ciro Menotti.

Fonti:

In esilio con il Duca(La storia esemplare della Brigata Estense)Elena Bianchini Braglia.

Archivio di Stato di Modena.

Scritto da:

Il Principe dei Reazionari.