giovedì 20 ottobre 2011

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due-Sicilie(1860-1861):I traditori intorno al Re, e il vile tradimento di Clary:Parte10.

Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.




Il Colonnello Bosco appena entrato nel Forte, segnalò a Clary lo stato delle cose guerresche di Milazzo, e domandò truppa dalla parte dell'istmo, ed egli dalla parte della Fortezza sarebbe piombato sulla città. Il Clary avea avuto facoltà da Napoli di far uso di tutte le sue forze contro Garibaldi; egli invece scriveva al Ministero della guerra che Bosco fu troppo avventato a rompere guerra, ed avea fatto malissimo di chiudersi nel Forte. Menzogne e contradizioni degne di un Clary. Costui si vantava di essere restato sulla difensiva, perché di ciò fu lodato dal console inglese, e dal sardo. Pianelli Ministro della guerra scriveva al Clary: «nel caso vostro andrei risolutamente a Milazzo ad investire il nemico alle spalle. Messina si difende coi bastioni: voi dovete spiegare energia e coraggio ". Clary faceva il sordo: esagerava le forze nemiche, dicea essere minacciato dalla parte di Catania, la via di Messina a Milazzo essere gremita di bande rivoluzionarie, e che il funesto colpo di Milazzo echeggiasse in Messina. Era sfacciata menzogna la minaccia dalla parte di Catania, e l'affollarsi della bande sulla strada da Messina a Milazzo: queste si erano riunite tutte in quest'ultima città.
Il Clary si dichiarò codardo scrivendo a Napoli che temea le bande, che scorrazzavano tra Messina e Milazzo. Egli, Generalissimo con una forza imponente di 22 mila uomini, con cavalleria ed artiglieria, temea che le bande rivoluzionarie gli potessero dar molestia sulla via!?!
Clary si fece sfuggire di mano la fortuna, e la rinomanza che avrebbe acquistata vincendo la rivoluzione cosmopolita adunata in Milazzo. Egli che ne avea i mezzi e non ne fece uso, fu vile o traditore, da qui non si esce. In quanto poi al Ministro della guerra Pianelli, invece di dar consigli al Clary potea dargli degli ordini.
Il Clary il 22 luglio riunì un consiglio di uffiziali graduati, e in quel consiglio esagerò le forze del nemico: descrisse con tetri colori lo stato dell'armata e, pur chiedendo consiglio conchiuse dicendo che avea risoluto di non mandare soccorsi a Bosco, e di cominciare la ritirata sul continente. E così senza vedere il nemico, l'indomani si ordinò la ritirata verso le Calabrie. I primi a ritirarsi furono due battaglioni di lancieri, il reggimento di carabinieri a piedi, e il 4° di linea.
Mentre si combattea a Milazzo, il Re in consiglio di ministri dicea, che il Governo Sardo avea mancato di parola, che in cambio di stringere la lega italica tra Napoli e Torino, mandava soccorsi a Garibaldi, e che la bandiera Sarda copriva le navi garibaldine: e conchiudeva: «Abbia sua parte la nostra real dignità, e la salvezza della patria: val meglio incontrare i rischi della guerra aperta che rimaner vittima della rivoluzione: perciò è mio avviso darsi i Passaporti al Ministro Sardo Villamarina.»
A questo discorso dignitoso del sovrano i ministri liberali non poteano far buon viso, perché voleano consegnare la Patria alla rivoluzione senza ostacoli e senza onorate prove di resistenza. Il Nunziante ed il Pianelli, non so se tutti e due, ma il primo già venduto alla setta, pensavano trarne alto profitto e intendersi col Piemonte sulle condizioni a loro favorevoli. Quindi a rintuzzar Garibaldi opinavano che si dovessero mandar truppe a Milazzo, costringere Clary a farsi avanti, e chiudere tra due eserciti la rivoluzione trionfante.
Questi disegni di guerra furono oppugnati da S.A. il Conte d'Aquila, zio del Re, il quale osò dichiarare che sarebbe stato grande disonore alla flotta napoletana recar soldati a Milazzo per combattere i fratelli, i quali si battean per l'unità nazionale. Fra il Conte d'Aquila e Nunziante corsero animatissime parole; quegli volea la rovina del nipote per effettuire le sue utopie e il suo tornaconto, l'altro volea la rovina del Regno a modo suo per ottenere personali vantaggi.
Dopo tutte queste poco onorevoli lotte e diversità di opinioni, che erano tutte contro il giovine e tradito Sovrano, si decise di mandar legni Mercantili a Milazzo per imbarcare la truppa a ricondurla a Napoli.
Il Pianelli mandò a Clary un dispaccio telegrafico nel quale gli dicea: «Le do facoltà in tutto: se crede tornare sul continente, il faccia senza esitare,» Ma Clary rimase in Messina per avere il tristo onore di capitolare e cedere in suo nome Messina a Garibaldi.
Era una mania; non pochi duci napoletani riponevano nella capitolazione e nel cedere tutto al nemico in proprio nome, l'ideale dell'onor militare.
E qui necessario fare una riflessione, la quale potrebbe ridurre nei giusti limiti la troppa ammirazione che si ha di Garibaldi circa i fatti di Milazzo. Si sa da tutti che costui non era affatto né scemo né pazzo, quindi l'essersi buttato imprudentemente a capofitto sopra Milazzo con un Forte di fronte, ed una brigata di soldati de' quali avea sperimentato il valore; con una armata alle spalle di 22 mila uomini, e col timore che il Ministero avesse potuto mandare altra truppa da Napoli, dimostra come il duce supremo della rivoluzione fosse certo del fatto suo.
Il Colonnello Bosco aspettava invano i richiesti aiuti di truppa. Il forte non potea sostenersi, mancava di tutto: e dal colle che lo domina, i soldati erano assai molestati dal nemico con fuochi di fucileria; essi erano uccisi o feriti mentre dormivano o mangiavano. La fortezza di Milazzo si costruì quando non vi erano armi a fuoco, quindi quel colle dominante non potea allora nuocere a' difensori più tardi co' nuovi mezzi di guerra quello a nulla o a poca cosa valeva. Vi erano scarsi viveri, acqua pochissima e mescolata di vermini.
Bosco dopo che tenne un Consiglio di uffiziali graduati, dispose che agli uomini ed agli animali si desse la metà della loro razione. In questo modo si potea durare per quindici giorni. Intanto il ministero della guerra avea assicurato il Re che la fortezza di Milazzo fosse in buono stato di difesa.
Il giorno 22 luglio arrivarono nel Porto di Milazzo tre legni francesi mercantili tolti a nolo dal Governo di Napoli. Garibaldi per mezzo di Salvy comandante d'uno di quei legno chiamato il Protis,
fece sentire a Bosco che si rendesse con tutta la guarnigione, altrimenti passerebbela tutta a fil di spada. Bravo Garibaldi! Con questa tua fanfaronata hai mostrato quanto sei civile ed italiano. Tu vuoi passare a fil di spada una prode guarnigione perché non si rende vilmente? Oh! ti sei troppo scoperto: non sono i preti roba del medio-evo o de' secoli barbari, ma sei tu che volevi rinnovare in Milazzo i tempi di quelle guerre barbare, che al leggerle solo ci fan fremere di santa indignazione.
Bosco rispose che cederebbe la piazza a condizioni onorevoli, e con la sanzione sovrana, o combatterebbe da disperato, e volendolo la circostanza, farebbe saltare in aria il forte, e forse la stessa Milazzo: quindi si preparò alla difesa.
Clary che si era mostrato or vile, or menzognero, or contraddittorio, negli ultimi momenti oprò da buffone e da matto. Di fatti, quando meno l'aspettavamo, spiccò al Bosco il seguente telegramma:
«Telegramma Corrispondenza del R. Corpo Telegrafico il Maresciallo Clary al Colonnello Bosco.Sospendete le trattative. - Rinforzi positivi sono partiti - altre poche ore sarete salvo -
L'uff. telegrafico Fir. Caffiero.»
Un grido di trionfo echeggiò per la fortezza, il nemico intese ed allibbì: conciosiacchè i rivoluzionarii temeano sempre che giungesse qualche soccorso o da Messina o da Napoli, e non ignoravano che il telegrafo ad asta funzionava tra Messina e Milazzo.
La guarnigione comandata da Bosco, dopo la ricevuta notizia del pronto soccorso, si preparò a sortite dal Forte e piombare sul nemico. Tutto era preparato. I soldati frementi di battersi, aguzzavano lo sguardo sul mare e su' monti del Gesso per iscoprire il soccorso promesso da Clary.
Ma costui che avea telegrafato a Bosco, essere già partiti i rinforzi da Messina, in quel momento confabulava col Medici, il quale era stato mandato da Garibaldi a Messina per mettersi di accordo col duce regio.
La mattina del 23, il Clary fece giungere a Milazzo un altro dispaccio, non più diretto a Bosco, ma al Colonnello Pironti. Ecco il dispaccio:
«Telegramma - Corrispondenza del R. Corpo Telegrafico - Milazzo 23 luglio 1860 - ore 7 ant. Rapporto Telegrafico - Il Maresciallo Clary al Comandante la Piazza di Milazzo (a Pironti).
89Questa mattina arriverò costà un Ministro
(sic) plenipotenziario del Re, con quattro fregate napoletane e tre vapori, per trattare la vostra resa.
Messina ore 7 a. L'uffiziale telegrafico
Firmato Francesco Cafiero.»
Era un perdere la testa con questi ordini e contrordini! I soldati trasecolavano e ripetevano il solito ritornello di quei tempi: non si capisce più niente!
Sul tardi di quel giorno arrivò nel porto di Milazzo il Colonnello di Stato Maggiore Anzani con tre fregate regie e stipulò una capitolazione brevissima, la quale importava che tutta la truppa del forte uscisse con armi e bagagli, ed onori militari, e fosse trasportata sul continente.
Quelli che mandarono l'Anzani con potere di cedere il forte di Milazzo a Garibaldi, resero il più grande servizio al Colonnello Bosco, poichè questi avea fatto conoscere quanto valessero i soldati napolitani diretti da duci né compri né vili, e che l'ideale dell'onor militare di Bosco non era quello di tanti altri duci, cioè di capitolare e cedere tutto in proprio nome al nemico. Quindi sembra che il Ministero abbia mandato Anzani per capitolare, e risparmiare al Bosco il dispiacere di cedere in suo nome a Garibaldi la fortezza di Milazzo. Alcuni però ritennero come certo, che Garibaldi non volendo trattare col Bosco, perché sapea che non l'avrebbe trovato pieghevole, avesse scritto o telegrafato a' suoi amici di Napoli, che circondavano il Re, sollecitandoli a mandare un altro per conchiudere la capitolazione.
Garibaldi volle due cavalli di Bosco, mentre agli altri uffiziali superiori furono lasciati quelli che aveano: fu questa una bassa vendetta del dittatore che onora Bosco!
Mentre si capitolava in Milazzo, altre viltà avvenivano in Napoli e Messina. Il Ministero liberale di Napoli scriveva un manifesto ai Gabinetti d'Europa dicendo, Garibaldi aver riaccesa la guerra civile con assalire Milazzo, e il Re per troncarla essere disposto a qualunque sacrifizio, purchè s'imponesse al nemico di cessare le ostilità.
Ministero senza decoro e senza patria! Abbattendo un trono secolare né pure volea salvare quell'onore del quale andava tanto altiero Francesco I di Francia nella sua disfatta e prigionia. Un Ministero che avea i mezzi di stritolare il nemico in pochi giorni, ricorreva all'Europa per ottenere la grazia ch'ella lo salvasse dalle ostilità di Garibaldi! e di più, promettea sottomettersi a qualunque sacrifizio, mettendo in mezzo la sacra persona del Re!
La rivoluzione, una sola cosa ha fatto di buono, cioè ha respinto quegli uomini e quei Generali che vendettero vilmente la Dinastia e il Regno. Ha fatto però due eccezioni, una per Alessandro Nunziante, l'altra per Pianelli Ministro delle guerra di Francesco II. Al primo lo gettò tra gli stracciumi del cenciaiuolo, dopo essersene servito; il secondo ora si trova ad uno de' cinque comandi generali dell'Italia, ma respice finem!
E si sappia da chi avesse interesse saperlo, che il Pianelli, se bene oggi si atteggia a liberale, nell'armata napoletana era chiamato il terrorista; conciosiachè usasse le verghe della tirannide, percuotendo i soldati per una piccolissima mancanza con 50 o 100 legnate, per modo che i miseri pazienti rimaneano mezzo morti sotto quel martirio di barbari, e spesso li rendeva inutili al servizio militare e al lavoro. Ancora ho presente il Pianelli, al quartiere di Pizzofalcone a Napoli, con quanta voluttà facea battere i soldati a colpi di verghe per lievissime mancanze. Allora io ero un liberale, un rivoluzionario secondo Pianelli, perché volea impedire quegli atti di vera barbarie. Cosa è ora il Pianelli? è un liberale, uno de' primi generali del Regno d'Italia: ed io sono un clericale,
un misero mortale, che stento la vita, perché non mi giuocai la coscienza e l'onore nel 1860. Ma posso alzar altiero la fronte, e dire in faccia a chicchesia ho fatto il mio dovere:
ecco la più bella ricompensa a' patiti disastri, e all'attuali non floride condizioni in cui mi trovo. Potete dire lo stesso voi, signor ex ministro Pianelli circa i fatti del 1860?
Clary il 24 Luglio, scriveva al segretario del Re: «Ora il signor Garibaldi si vorrà divertir con me; venga; mi trova giusto...! vi dico che balleremo bene!»
Spiritoso quel balleremo bene col signor Garibaldi, attesa la figura grottesca di Clary! Chi conosca costui, e prenda letteralmente la frase, balleremo bene
non potrebbe fare a meno che ridere sgangheratamente. Egli, il Clary, volea ballar bene
con Garibaldi dopo i fatti di Milazzo? Mentre pochi giorni prima fingeva, o realmente si mettea paura delle bande armate che vi erano sulla strada da Messina a Milazzo. Però il giorno stesso il Clary scriveva a Pianelli e gli chiedeva la facoltà di cedere Messina a Garibaldi. Avete mai letto simili studiate contraddizioni di un Generale in capo? Clary, negli ultimi avvenimenti della rivoluzione di Sicilia, si mostra indefinibile quanto colpevole. Una volta dice che si vuole battere, immediatamente cambia pensiero, ritorna poi a dire, che vuol ballare bene con Garibaldi, nel mentre scriveva al Ministero della guerra per ottenere la facoltà di ritirarsi nelle calabrie, senza colpo ferire. Codardo!
Il Pianelli dimenticandosi di avere già scritto al Clary, come se si fosse trovato nella costui condizione, avrebbe investito Garibaldi a Milazzo, con tutta energia e coraggio; dopo due giorni, senza essere cambiate le circostanze, scriveva al medesimo Clary: «Resto convinto (sic!!!) che non potevate marciare sopra Milazzo, potete ritirarvi sul continente, valendovi di navi francesi». E così si fecero amici Erode e Pilato!...
Il Clary, facendo tesoro delle pieghevolezze e compiacenze di Pilato, cioè del Pianelli confabulando col Medici in casa del console sardo, ove si facea accompagnare dal suo amico e confidente, il capitano Ayala, il quale disertò poi al nemico il 7 settembre, ed ivi contrattarono. E per mostrarsi sino all'ultimo bugiardo scrisse altra lettera al Segretario del Re, ove gli dicea: «I nostri avamposti saranno oggi assaliti, speriamo bene». Quello stesso giorno dava l'ordine a quegli avamposti ripiegassero sopra Messina non ancora veduto il nemico!...
Non la finirei più se volessi raccontare tutte le male arti che usarono Pianelli e Clary per cedere la Sicilia a Garibaldi, e per dare a costui tutta quella importanza che non avea.
Garibaldi, da vero profeta il 25 Luglio, secondo avea detto, fece occupare Messina dai suoi: e la truppa, parte si ritirò nella cittadella, parte passò sul continente.
Epperò che appena segnato quell'inatteso ed esizialissimo contratto che prostrava cuore ed onore di quel corpo d'Esercito, ad alcuni fedeli balenò l'idea d'un colpo audace, che se da una parte offendeva i doveri di disciplina, pure avrebbe, chi lo sa, dall'altro salvato il Regno e la Dinastia. Taluni impetuosi avrebbero voluto persino uccidere Clary e d'Ayala, altri imprigionarli, e trovare tra i graduati chi li avesse condotti incontro a Garibaldi, e così finirla per sempre. Sappiamo che nella notte istessa l'animoso Cav. de' Torrenteros, allora Capitano di Stato Maggiore, pur non soffrendo quell'onta d'una nuova ritirata, senza cimento e senza sconfitta, si condusse sollecito dal Generale Marchese Palmieri, che immediatamente seguiva Clary per anzianità e grado, e fidente nel chiaro nome di Lui, e nella nota sua fede ai Borboni, franco disse come andavan le cose; che se quello non era alto tradimento del Maresciallo Clary, certo era viltà riprovevole alla quale bisognava provvedere. Il distinto sig. Palmieri se ne mostrò sorpreso ed addoloratissimo. Cavaliere e soldato onesto era già in prevenzione dell'equivoco procedere del Clary, ma sia per serbar salda la vacillante disciplina, sia per non affrontare mali maggiori, disse al Torrenteros che ne avrebbe scritto subito al Re; ma che bisognava serbare alta ubbidienza, per salvare il Maresciallo e soprattutto l'ordine disciplinare, facendo sentire ai più intolleranti non porsi al caso d'incorrere ne' possibili d'un consiglio di Guerra...
Clary fu salvato; l'ordine fu mantenuto; ma la rovina di tutto metteva più salde radici.
Gli infelici soldati napoletani, affamati, affranti di fatighe e patimenti, disprezzati dai duci stessi, erano da tutti incitati a disertare; e qualcuno disertò per la disperazione, e per non servire sotto condottieri che li martirizzavano senza scopo e senza utile del servizio del Re, e della Patria.
Il Clary il 26, giusta la convenzione fatta col Medici cedeva Messina con lo specioso pretesto di volersi contenere dal versar sangue, ed imbarcare i soldati senza molestia. A' regi rimanessero la Cittadella, il Forte D. Blasio, La Lanterna, e il Salvatore, con venti metri di zona neutrale intermediaria. Fu stabilito ancora che la Cittadella restasse inoffensiva sino alla fine della guerra, e rispondesse ove mai fosse attaccata.
Si obbligarono di rispettare le navi con le bandiere de' belligeranti.
Questa convenzione era, al solito, tutta a favore de' garibaldini e contro i regi, poiché quelli vollero la neutralità della Cittadella affinchè da Messina avessero libero il passo di gettarsi nelle Calabrie. A' regi si legavano le mani, a' garibaldini tutta la libertà d'azione.
Clary dopo di aver fatta tutta la convenzione verbale cedendo tutto al Medici, mandò a Napoli il Capitano Canzano per chiedere la facoltà di sottoscrivere la tregua. Il Ministero liberale rispose: «Si facesse tregua senza ledere i diritti del Re sulla Sicilia, serbandosi la Cittadella. Il Governo sebbene potrebbe (sic) continuare la guerra, rinunzia alla lotta fratricida per facilitare l'alleanza sarda, (ancora questa alleanza!) e liberare l'Italia dal Tedesco.»
Nella convenzione di Messina sembra che vi siano stati patti segreti, dappoichè il 28 luglio si ordinava l'abbandono delle altre fortezze che restavano a' regi in Sicilia: Augusta e Siracusa. Si era ivi recato il celebre bombardatore di Palermo, il generale Briganti, per eseguire l'ordine. Il Re vietò un'altra gloria a quel generale di cedere quelle fortezze in suo nome. Il Clary prevedendo il contrordine avea scritto a Briganti che facesse presto
la cessione di Augusta e Siracusa: questa volta però non furono fortunati nel cedere: l'ordine sovrano giunse a tempo.
Eseguita la ritirata della truppa da Messina, rimase comandante della Cittadella il generale Fergola, soldato onoratissimo e fedele al Re. I soldati frementi di rabbia per l'onta che aveano ricevuta, intesero che i garibaldini volessero sorprendere il forte D. Blasco. La sera udito un colpo di fucile, cominciarono un fuoco ben nutrito di avamposti, e gli artiglieri sfondarono le porte ov'era la munizione. Corse il Clary, e volea punire il custode di quelle munizioni; ma i soldati gli dissero: siamo stati noi che abbiamo abbattuto le porte del magazzino, perché il nemico ci assale, e noi abbiamo i fucili scarichi. Un soldato salutandolo alla militare, si piantò innanzi a quel Generale, e gli disse: «Se un soldato qualunque ci tradisce, gli daremo un bagno con una grossa pietra ligata al collo.»
La sera di quel giorno vi fu un altro baccano: gli artiglieri e i pionieri caricarono i cannoni. Clary volea mettere ordine a quel disordine cagionato dalla sua cattiva condotta: i soldati perciò gli gridarono: fuori il traditore!
Clary scrisse questo fatto al Ministero, dicendogli che gli artiglieri e i pionieri smaniavano di assalire i garibaldini per saccheggiare Messina. Sempre menzogne, e contradizioni! Con queste menzogne e contradizioni, Clary tradiva la sua condotta militare tenuta sino allora. Se i soli soldati rimasti nella Cittadella avessero potuto respingere i garibaldini in guisa da restar loro il campo libero per saccheggiare Messina, che non avrebbero fatto 22 mila uomini ben diretti? è chiaro, secondo lo stesso Clary, avrebbero stritolato il nemico. Intanto avea capitolato dichiarandosi debole di forze militari.
Clary che era in procinto di essere ucciso da' soldati da un momento all'altro, fu chiamato a Napoli; comunicò l'ordine occultamente al Fergola, e partì. In Napoli fu ricevuto malissimo da tutti, cioè dagli amici, e dai nemici. Il Re non volle riceverlo. Pianelli che si era dimenticato del frasario di Pizzofalcone, il frasario terrorista, cioè l'avea conservato per altre circostanza, ne avea improntato un altro all'infretta, ricevè il Clary, e gli disse: «La Patria ha molto a dolersi di voi,» Ma Clary poco curandosi di tutti i frasarii di Pianelli, si affrettò a presentare a costui qual Ministro della Guerra, un conto di diciotto mila ducati che avea anticipato nel tempo della sua amministrazione militare di Messina. Diciotto mila ducati, avete capito? Clary anticipava diciotto mila ducati! Del resto, io l'ho già detto, trattandosi di danaro mi lavo le mani, e faccio punto.
Eppure il Banco pagò sempre regolarmente in Messina, e lo sa il signor Lello Console Piemontese colà.
Questo Generale non sò se abbia pregiudicato al regno più di quello che non abbia fatto il generale Lanza: il certo si è che questi iniziò la perdita della Sicilia, quegli completolla.
Clary dopo la catastrofe della Dinastia e del Regno, andò in esilio a Roma: mi si dice che siasi giustificato presso il Re. Io dico solamente ch'è facile giustificarsi con un sovrano detronizzato ed in esilio!

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).