domenica 11 settembre 2011

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due-Sicilie(1860-1861):I Garibaldini/Parte 2A.

SECONDA EPOCA DELLA RIVOLUZIONE
I GARIBALDINI
Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura. 


Sbarco dei Garibaldini a Marsala 11 Maggio 1860.

L'epoca seconda di queste memorie non sarà creduta da' posteri. Io racconterò fatti incredibili, ma veri. Ora cominciano le diserzioni dei soldati e degli uffiziali, la viltà e le inesplicabili ritirate de' Generali, ove non si vogliano chiamare vergognosissimi tradimenti. Un'anima nobile e dignitosa rifugge da queste rimembranze: è troppo tristo ricordare come una prode armata di circa 100,000 uomini fosse stata distrutta non già dal nemico, ma da varii dei capi stessi, i quali disonorarono il proprio paese, e quella divisa gallonata, che con tanta burbanza indossavano. La striscia di sangue che bagnò la via da Boccadifalco a Gaeta sgorgò solamente dalle vene de' soldati, i figli del popolo, e dell'ufficialità subalterna e se non fosse stato per questi, l'onor militare del disgraziato Regno di Napoli sarebbe rotolato nel fango. Gli scrittori garibaldini descrissero pugne omeriche; ma la storia imparziale dirà, che le bande garibaldine sarebbero valse meno delle bande siciliane, se non fosse stata l'ignavia, la viltà, e il tradimento di alcuni duci napoletani. I fatti che racconterò saranno una splendida prova del mio asserto.
Dopo le vicende guerresche di aprile, la truppa era rientrata ne' quartieri, e riprendea le sue abitudini, e tutto sembrava quieto.
Il 13 maggio, corse voce, che Garibaldi fosse sbarcato in Marsala con 600 uomini di truppa piemontese. Questa notizia fu tenuta per una favoletta, una spiritosa invenzione. Tutti dicevano: l'hanno detta assai grossa. Conciosiachè le relazioni diplomatiche tra Torino e Napoli fossero cordiali, e quindi non era da supporre che quel Governo volesse tentare un'invasione in un Regno amico, senza alcuna ragione, almeno apparente, e senza intimazione di guerra, come si usa ne' paesi civili. Tuttavia la sera di quel giorno 13, la notizia venne confermata ufficialmente, ma corretta in questo modo: che Garibaldi fosse sbarcato in Marsala con più di 1000 volontari vestiti con camicia rossa: che i legni di guerra napoletani, cioè la fregata Partenope, e i due vapori Stromboli, Capri, non avessero potuto impedire lo sbarco di quei volontari, perché protetti da due legni di guerra inglesi, l'Intrepido l'Argo, partiti due giorni prima dalla rada di Palermo: che Garibaldi non venisse in Sicilia a far la guerra per ordine del Governo Sardo, ma per aiutare la rivoluzione siciliana.
Queste notizie furono accolte con entusiasmo dalla truppa; tutti desideravano essere condotti a Marsala per combattere Carlobardi, così i soldati chiamavano Garibaldi farsi onore ed ottenere decorazioni e gradi militari. Vi era pure un certo dispetto, che uno straniero si venisse ad immischiare nelle nostre lotte politiche. Garibaldi, in Marsala, non trovò cordiale accoglienza. Il Municipio andò via, i marsalesi agiati fuggirono, le vie erano deserte. Di che fortemente indignato fece occupare le porte della città dai suoi volontarii, e dichiarò lo stato di assedio.
È necessario qui notare, che Garibaldi appena toccata la terra siciliana, che dovea redimere dalla schiavitù, per primo atto del suo inqualificabile potere dichiarò lo stato di assedio in una città non ostile, ma riservata e indifferente alla libertà e redenzione che volea largirle.
Il 14 maggio, Garibaldi ed i suoi volontarii partirono per Salemi, paese 20 miglia dentro l'isola, ove fu incontrato dal celebre padre Pantaleo di Castelvetrano, frate de' Minori osservanti, oggi ammogliato e libero pensatore.
Alcuni duci gallonati di Palermo invece di attendere ed arrestare la marcia di Garibaldi, si bisticciavano tra loro: aveano perduta la bussola prima di mettersi in mare. Nondimeno dovendosi decidere a qualche cosa, si decisero pessimamente, cioè mandarono il generale Landi a combattere Garibaldi. Il Landi era stato comandante del 9° cacciatori, ed io non avea inteso buone notizie intorno alla sua delicatezza amministrativa e capacità militare.
Landi partì per Alcamo; il 14 maggio radunò in quella piccola città più di 3000 uomini di truppa scelta, avidissima di battersi: avea cannoni, cavalleria, e tutto quello che fa di bisogno ad un piccolo corpo di esercito in campagna. Il contenersi del Generale in Alcamo era come se si trattasse di una passeggiata o parata militare, in che riuscivano mediocri non poca parte de' duci napoletani. Landi non prendeva alcuna precauzione, non dava quegli ordini che si richiedevano, avendo il nemico quasi di fronte: stava inoperoso. Spinto dagli ordini urgenti del Luogotenente Castelcicala, si partì d'Alcamo per Calatafimi. Il 15 maggio anche Garibaldi con i suoi volontari, e le squadre siciliane, che avea raccolte, si spinse verso Calatafimi.
Garibaldi si fermò prima di giungere a Calatafimi, e sembrava incerto di ciò che si dovesse risolvere. Vedendo la truppa di fronte, cercò scansarla; lasciò la via e prese i monti.
Landi per mostrare di far qualche cosa, prima che comparisse Garibaldi, avea spinto verso Salemi il maggiore Sforza comandante l'8° cacciatori, ma con quattro sole compagnie, per fare una ricognizione militare, e se attaccato, ritirarsi.
Giunto lo Sforza non più lungi di un tiro di fucile da' garibaldini, vide che lasciavano la via e prendevano i monti per evitare un combattimento. A questo i soldati non si contennero e si diedero a gridare che volevano battersi ad ogni costo. Il comandante Sforza protestò che avea altri ordini dal Generale, ma lo scambio delle fucilate cominciava, e lo Sforza finì di secondare il desiderio de' suoi soldati, spingendosi alla loro testa ed attaccò vigorosamente i garibaldini. La mischia fu terribile: i garibaldini si erano appiattati a terra, ed in quella
posizione facevano un fuoco ben nutrito. Prevalse però la bravura e disciplina delle quattro compagnie, e le bande rosse furono sgominate ed inseguite. Menotti Garibaldi che portava una magnifica bandiera tricolore, venne ferito ad un braccio, ed obbligato di consegnarla ad uno de' suoi compagni. Questi fu ucciso da un soldato napoletano di nome Angelo de Vito, il quale s'impadronì della bandiera che poi fu portata a Palermo. Era certa la disfatta di Garibaldi; de' suoi, chi fuggiva, chi combatteva in disordine. Il Landi, che certamente tutto vedea ed osservava da lungi, invece di spingere altri battaglioni che avea disponibili per compiere la non dubbia vittoria, diede l'ordine della ritirata, e cominciò a retrocedere verso Alcamo, senza avvertire il maggiore Sforza, il quale inseguiva i garibaldini. Costui avvertito che la colonna si ritirava verso Alcamo, non volle crederlo; quando poi si accertò con i suoi propri occhi, credè prudente anch'egli di ritirarsi, chè già cominciava a difettare di munizioni.
I garibaldini vedendo quella inesplicabile ed inattesa ritirata della colonna Landi, presero animo: coadiuvati dalle squadre siciliane che non aveano preso parte in quel combattimento, diedero addosso a' regii, e la scena cambiò totalmente.
In quella disordinatissima ritirata della truppa cadde una mula che portava un obice. I soldati lo buttarono in un burrone, e di colà fu poi raccolto da' garibaldini che ne menarono gran vanto.
Nella ritirata di Landi fu grandissima confusione. I battaglioni disorganizzati marciavano alla ventura, mischiati con carri, artiglieria o cavalleria: vi era un caos! Giunti ad Alcamo furono attaccati da' ribelli che tiravano fucilate dalle finestre e da' balconi: i soldati risposero con incendiare molte di quelle case ove si facea fuoco vivissimo. Lo stesso avvenne al passaggio di Partinico. Il Landi fuggiva alla testa di quella truppa che avea disorganizzata, e demoralizzata, e cambiava strada appena avea notizia di qualche piccola banda che lo inseguiva.
Fu il primo ad arrivare a Palermo, ove fu seguito poi dalla sua colonna in massimo disordine ed affamata.
Garibaldi a Calatafimi perdette centodieci volontari. Se le sole compagnie dell'8° Cacciatori, equivalenti a meno di cinquecento uomini, lo sbaragliarono e gli fecero quel danno, qual sarebbe stata la fine della temeraria impresa del futuro dittatore delle Due Sicilie, se Landi si fosse battuto con tutti i suoi? Ma Garibaldi avea forse certezza che il duce napoletano si sarebbe condotto come realmente si condusse, ove si volesse ammettere come vera la notizia non mai smentita, e che io come semplice cronista riporterò: cioè che Landi avesse ricevuto da Garibaldi per prezzo della sua condotta, una fede di credito di quattordicimila ducati, che il Banco di Napoli trovò poi falsa, cioè, era di soli ducati quattordici; e che ne morì di dolore sorpreso da un colpo apoplettico.
Il fatto d'armi di Calatafimi segnò la caduta della Dinastia delle Due Sicilie; imperocchè il generale Landi non fu chiamato a dar conto della sua vergognosissima con dotta, ed inesplicabile ritirata; ma quello che fa più meraviglia si è, che rimase al comando della brigata che avea disorganizzata e demoralizzata. Questo esempio incoraggiò i duci, o vili o traditori, a tradire impunemente.

                          Battaglia di Calatafimi 15 Maggio 1860.

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).