giovedì 1 settembre 2011

I "Borbone di Gorizia".



Quando si accenna all’ultimo Re di Francia, di solito vengono in mente la ghigliottina e la rivoluzione che causò la tragica morte di Luigi XVI, alla fine del Settecento. Qualcuno più bravo a scuola si ricorderà del periodo chiamato “Restaurazione”, successivo alla caduta di Napoleone ed al congresso di Vienna (1815), che vide il ritorno dell’antica dinastia sul Trono frances...e sino a quando un’altra rivoluzione in piccolo non segnò la fine della monarchia dei Borbone.

Pochi, però, sanno che l’ultimo Re di Francia fu il terzo fratello del Re ghigliottinato, Carlo X, generalmente descritto nei manuali come monarca “reazionario” per la sua opposizione alla libertà di stampa e al Parlamento e il suo favore verso il Cattolicesimo; in un libro per ragazzi degli anni Ottanta, fra i suoi “eccessi” veniva messa anche la legge che minacciava la pena di morte a chi avesse rubato i calici delle chiese, come se il sacrilegio fosse in fondo un crimine medievale, assurdo nell’età del progresso. Quasi nessuno, infine, conosce il luogo dove gli ultimi Borbone di Francia sono sepolti.

Una dinastia in esilio

Ricordate il famoso quadro di Delacroix intitolato La Libertà guida il popolo? Prende spunto dal luglio 1830, quando una rivolta nelle vie di Parigi causò la fine del regno di Carlo X: l’evento era stato preannunciato in segreto dalla Vergine Maria a Caterina Labouré in una delle apparizioni in cui, fra l’altro, parlò della Medaglia Miracolosa.

Il sovrano abdicò in favore del nipote orfano di padre, il piccolo Enrico, duca di Bordeaux e conte di Chambord (il grandioso castello donatogli con una sottoscrizione nazionale). La famiglia reale riparò esule in Scozia, malgrado la madre di Enrico, Maria Carolina duchessa di Berry (nata Borbone delle Due Sicilie), desiderasse continuare la lotta.

Questa nobildonna audace tenterà l’anno dopo di capeggiare un’insurrezione dei “legittimisti” (i sostenitori del Re “legittimo”), ma il suo tentativo fallirà. Dopo essersi travestita e nascosta in modo rocambolesco, fu catturata dai soldati del nuovo Re Luigi Filippo di Borbone-Orléans (un ramo “cadetto” della famiglia), ed in prigionia rivelò di essere incinta per aver sposato segretamente un nobile napoletano. Questa mossa suscitò lo scandalo di Carlo, il quale, dopo che la duchessa di Berry fu liberata, le tolse l’educazione del figlio e la allontanò dalla famiglia.

Gorizia ospita l’ultimo Re Borbone di Francia

Nel 1832 i Borbone francesi ottengono asilo nei domini degli Asburgo, in un primo momento a Praga, nel maestoso Castello reale, dimora adeguata al loro rango. Da lì, però, dovranno partire nel 1836. Carlo X decide di stabilirsi a Gorizia, spinto dalla fama di luogo salubre dal clima mite.

I membri di quella che era stata una delle più potenti case reali europee vanno dunque a vivere in una piccola città di poche migliaia di abitanti, secondaria e priva di prestigio benché capoluogo di una Contea e sede di un Arcivescovo, e sono alloggiati col loro seguito in alcuni piccoli palazzi nobiliari dall’aspetto semplice, i palazzi Coronini e Strassoldo.
I libri di memorie dei “legittimisti” francesi “in pellegrinaggio” a Gorizia insisteranno sull’aspetto dimesso della cittadina di provincia, per far meglio risaltare la fermezza d’animo degli ultimi Borbone, capaci di sopportare un destino amaro.

Le passeggiate avevano portato il vecchio monarca verso il convento francescano della Castagnavizza, sulla cima di una collina boscosa dalla quale si scorge un’immensa distesa: lì egli scoprì l’oasi di pace dove gli sarebbe piaciuto riposare per sempre. La sorte lo accontentò. Malgrado avesse scelto Gorizia per sfuggire alle epidemie, fu proprio a Gorizia che Carlo X morì, vittima del colera, nel novembre 1836.

Una folla numerosa assistette ai solenni funerali nella cattedrale.
Il Re fu seppellito, come aveva chiesto, nella cripta del convento di Castagnavizza, in fondo ad un lungo e oscuro corridoio, in un sarcofago di marmo chiaro di Aurisina (una località del Carso ancor oggi famosa per le sue cave).

Il conte di Chambord “perde” il Trono di Francia

Enrico intanto cresceva e completava la sua educazione con maestri di idee intransigenti, del tutto contrarie a quanto era avvenuto dopo il 1789. Il giovane duca di Bordeaux viaggiò in diversi Paesi europei, Italia compresa: a Milano andò a trovare Manzoni “per rendere omaggio ad un grande talento dedito alla causa della verità”, a Roma, dove giunse in segreto per aggirare la contrarietà del cancelliere austriaco Metternich, ottenne di farsi ricevere dal Papa.

Riusciva a far parlare di sé i salotti e i governi di tutta Europa. Un incidente a cavallo lo renderà claudicante per sempre, ma nel 1844, a Londra, avrà la soddisfazione di ricevere l’omaggio di centinaia di realisti francesi di tutti i ceti, fra cui il grande scrittore Chateaubriand.

Lo stesso anno muore a Gorizia lo zio di Enrico, ufficialmente noto come Luigi XIX, e viene sepolto accanto al padre, Carlo X. La vedova, figlia di Luigi XVI e Maria Antonietta, alla sua morte sarà sepolta vicino al marito. Enrico, che ha sposato Maria Teresa di Modena, ora si fa chiamare conte di Chambord ma non è ancora riuscito a salire sul trono dei suoi avi.

In Francia si verificano importanti cambiamenti politici. La rivoluzione del 1848 aveva cacciato Luigi Filippo e ristabilito la Repubblica, ma nel 1852 Luigi Napoleone Bonaparte aveva ripristinato l’Impero. La guerra franco-prussiana del 1870 causò l’esilio di Napoleone III, ma la Terza Repubblica, anche se riuscì a schiacciare l’insurrezione della Comune di Parigi, non godeva di un grande sostegno nel Paese.
Le elezioni del 1871 inviarono all’Assemblea Nazionale una maggioranza di deputati favorevoli alla reintroduzione della monarchia. Tra essi, una minoranza avrebbe preferito un re della casa degli Orléans, mentre la maggioranza dei monarchici francesi voleva il conte di Chambord come Re Enrico V.

Egli, però, avvisò che non avrebbe mai rinunciato al vessillo bianco dei Borbone, “lo stendardo di Enrico IV e di Giovanna d’Arco”, come bandiera nazionale, rifiutando la bandiera tricolore che, per lui, era l’emblema della rivoluzione.

Nel 1873, tuttavia, la restaurazione della monarchia sembra più che mai imminente: la maggioranza parlamentare, il governo, il Presidente della Repubblica sono monarchici. Enrico viene ufficialmente invitato a tornare in patria per essere incoronato. Ribadisce, però, la stessa condizione: dovrà essere scelta la bandiera bianca dei Borbone come bandiera nazionale.

Il conte di Chambord perde così un’occasione irripetibile: il tricolore, sotto il quale erano caduti in battaglia tanti francesi, era ormai imprescindibile per l’opinione pubblica.
Negli anni successivi, la Repubblica si consolida definitivamente. Enrico muore nel 1883 e viene inumato nella cripta di Castagnavizza, come poi accadrà anche alla vedova: non avendo figli, con lui si estingue il ramo principale dei Borbone.

Trieste ospita il ramo carlista dei Borbone-Spagna

In occasione delle esequie, a Gorizia nasce una spaccatura fra i monarchici francesi: la maggior parte riconosce ora il conte di Parigi, Filippo di Borbone-Orléans, come pretendente al trono, ma una minoranza rifiuta il discendente dei “traditori” Orléans e dichiara erede al trono Giovanni conte di Montizon, del ramo “carlista” dei Borbone di Spagna, sepolto a Trieste con il nonno Carlo V e lo zio Carlo VI di Borbone-Spagna.

Non vogliamo annoiare ulteriormente i lettori con le complicate vicissitudini dei Borbone nel Novecento (basti pensare che ancor oggi il trono di Francia è rivendicato da due pretendenti!). Vorremmo però attirare l’attenzione sul fatto che queste vicende ebbero, durante l’Ottocento, una vasta eco in tutta Europa, perché al tradizionalismo facevano riferimento non solo ambienti aristocratici chiusi nei loro privilegi, come il modo di pensare di oggi ci indurrebbe a credere, ma anche tutta una serie di propugnatori di opere sociali ispirate alla dottrina cattolica.

In Spagna sorsero perfino sindacati carlisti ed esistono tuttora due organizzazioni carliste. Quegli eventi, dunque, non riguardavano esclusivamente i “sangue blu” o Francia e Spagna. In Italia, però, la memoria dell’esilio borbonico e dei luoghi ad esso legati sembra persa.

Nel convento di Castagnavizza in Slovenia

Se nel caso di Trieste questo oblio è un po’ sconcertante, più semplice è la motivazione per quanto riguarda Gorizia.
I danni subiti dalla chiesa e dal convento di Castagnavizza durante la Prima Guerra Mondiale indussero l’Imperatrice austriaca Zita a far trasferire le salme dei Borboni a Vienna. Da lì tornarono in Gorizia ormai italiana e nella loro sede originaria nel 1932, per impulso di un giovane studioso triestino, Oscar de Incontrera.

Il trattato di pace del 1947 avrebbe staccato dall’Italia tutto il territorio immediatamente ad est di Gorizia, con un confine innaturale proprio ai piedi del colle di Castagnavizza, passato alla Jugoslavia dominata dal regime comunista, non certo favorevole alla Chiesa e alle monarchie.

Inoltre, il confine e gli odi nazionali avrebbero contribuito a separare luoghi e persone in realtà vicinissimi e a far temporaneamente dimenticare le vicende storiche che li collegavano.

Oggi Castagnavizza (Kostanjevica), oasi verde di pace e spiritualità, dal cui terrazzo si gode un bellissimo panorama sul castello di Gorizia e la valle dell’Isonzo, è in Slovenia, Paese entrato nell’Unione Europea.
La vocazione europea di questo luogo, nata nell’Ottocento, è rinata ai giorni nostri. La graziosa chiesetta è stata sede di incontri di preghiera italo-sloveni. Scendendo nella cripta reale, tuttora può capitare di leggere, nel registro dei visitatori, nomi francesi e l’immancabile Le Roi ést mort, vive le Roi!